
Doveva essere il banco di prova della rinascita della scuola, a settembre: tre milioni di banchi nuovi, affidati dalla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina al Super Commissario Domenico Arcuri e da quest’ultimo demandati tramite bando ad aziende che “non ci sono”. Il passaggio dal banco di prova al banco degli imputati è stato immediato e la settimana che si apre riserva capitoli interessanti sulla ripartenza della didattica fissata con granitica certezza per il 14 settembre. Ma la vicenda dei banchi nuovi, con o senza rotelle, è una formidabile arma di distrazione di massa rispetto ad una scadenza ben più consistente di cui neanche il sito del Ministero dell’Istruzione, con le sue 9 macro-aree, fa memoria: la Strategia di Lisbona abbasserà definitivamente le saracinesche in questo 2020, trascinando nel limbo il valore legale europeo dei titoli di studio.
Tre mesi fa, ad aprile, in piena devastazione da Coronavirus, il consiglio europeo avrebbe dovuto verificare i progressi compiuti (cioè non compiuti) dai 27 stati europei, dopo le tante verifiche susseguitesi a partire dalla prima firma della Strategia di Lisbona nata il 23/24 marzo 2000, appunto, a Lisbona, sottoscritta dai capi di governo che adottarono allora l’obiettivo strategico di rendere l’Europa “l’economia della conoscenza più competitiva e dinamica del mondo”. Le redini del Governo erano nelle mani di Massimo D’Alema e alla Pubblica Istruzione furoreggiava Luigi Berlinguer.
Gli obiettivi messi nero su bianco nel trattato avrebbero dovuto essere conseguiti nel primo decennio. Fallito l’obiettivo nel primo decennio, il temine ultimo fu spostato improrogabilmente al 2020 e consegnato nelle mani del Consiglio Istruzione d’Europa sulla base del vincolo rigido contenuto nel Trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992 dai capi di Stato di tredici paesi: Italia, Spagna, Francia, Portogallo, Paesi Bassi, Lussemburgo, Belgio, Germania, Danimarca, Grecia, Regno Unito, Irlanda.
Tanta roba in quella Strategia: 3% del pil Ue in ricerca e sviluppo, tasso di abbandono scolastico non oltre il 10% e almeno il 40% di cittadini europei laureati nella fascia d’età compresa tra i 30 e 34 anni. Per rendere vincolanti gli obiettivi, fu messa sul tavolo la certificazione europea dei tioli di studio.
Questa la storia.
La cronaca invece ci parla di 53 mila nuovi docenti immessi in ruolo (legge 20 dicembre 2019 n. 159), di 3 milioni di banchi nuovi da reperire prima del 14 settembre e di molti altri docenti (più di quelli immessi in ruolo) che verranno chiamati nei plessi scolastici per lo smistamento delle classi e la loro ricollocazione ovunque sia possibile, stante la riduzione del numero di alunni per ciascuna classe. E la Strategia di Lisbona? Sparita. Non ne parla nessuno, né al Ministero dell’Istruzione né tantomeno al Ministero dell’Università e Ricerca.
Si, i trattati sono in vigore, le risoluzioni di Consiglio e Parlamento europei pure, così come resta pienamente valida l’approvazione all’unanimità della Strategia da parte del nostro Parlamento. Della sua esistenza in vita se ne sono scordati tutti, ben felici di mettere le conseguenze di quelle Raccomandazioni del Consiglio e del Parlamento Europeo in materia di istruzione e formazione a cui agganciare la certificazione europea dei titoli di studio rilasciati dalle sue istituzioni scolastiche.
I risultati cui doveva tendere ogni Stato dell’Unione per raggiungere gli obiettivi della Strategia di Lisbona 2020 erano chiari: conoscenza come meta per tutti, non per qualcuno e, secondo principio, «non uno di meno» come risposta alla percentuale incresciosa di abbandoni scolastici ( naturalmente c’era una coda di molti buoni principi, come quello dell’apprendimento permanente fino al 64° anno di vita, le lingue straniere e la tecnologia digitale ecc. ecc). L’economia della conoscenza “più competitiva e dinamica del mondo” è stata abbandonata a se stessa nel porto delle nebbie, molto prima che il tema dei banchi nuovi prendessero il sopravvento e il Super Commissario Arcuri si inabissasse nella madre di tutte le commesse scolastiche.
Resta la domanda: alla fine del 2020 che ne sarà del riconoscimento europeo dei nostri titoli di studio?