
Da Alessandra Ermellino, componente della Commissione Difesa alla Camera dei Deputati, riceviamo e pubblichiamo questo “Messaggio in bottiglia” che evidenzia alcuni rischi dell’articolo 211 del decreto legge Rilancio
Voglio mantenere alta l’attenzione sull’articolo 211 del decreto cosiddetto “Rilancio”, perché a mio avviso i commi 2 e 3 implicano conseguenze pericolose per l’interesse pubblico.
Nell’ottica di un rilancio del Paese a seguito del lockdown causato dal Covid-19, la norma in previsione contempla la cogestione a favore di soggetti pubblici o privati di alcune aree o parti di sedimi militari. In prima battuta si osservi che la rubrica dell’articolo è a mio parere fuorviante, perché cela un contenuto assai importante: “Misure per la funzionalità del Corpo delle Capitanerie di Porto e per il sostegno di sinergie produttive nei comprensori militari”. Per offrire al lettore una mia visione interpretativa, direi che probabilmente siamo davanti a un tentativo di “imboscata” normativa.
Entro nel merito dei commi, partendo dal contenuto testuale del comma 2 dell’articolo 211: “Fatte salve le prioritarie esigenze operative e manutentive delle Forze Armate e al fine di favorire la più ampia valorizzazione delle infrastrutture industriali e logistiche militari, il Ministero della Difesa, per il tramite di Difesa S.p.A., ai sensi dell’articolo 535 del Decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, può stipulare convenzioni ovvero accordi comunque denominati con soggetti pubblici o privati, volti ad affidare in uso temporaneo zone, impianti o parti di essi, bacini, strutture, officine, capannoni, costruzioni e magazzini, inclusi nei comprensori militari”. Di fatto, si prevede di poter affidare a soggetti privati la chance di entrare in aree militari e di gestirne una parte. Attenzione, a soggetti sia pubblici che privati, quindi in maniera implicita anche stranieri.
Alla luce di questa evidenza normativa, ho presentato un emendamento soppressivo dei commi 2 e 3 dell’articolo 211, ma il mio obiettivo di porre un limite all’eventuale pericolo si è scontrato con le intenzioni del capogruppo del Movimento 5 Stelle in Commissione Difesa, Giovanni Russo, il quale non ha ritenuto di depositarlo. Nonostante il personale dissenso per la scelta fatta, ho proseguito cofirmando due emendamenti ugualmente soppressivi del comma 2 dell’articolo 211, presentati, tra gli altri, dal collega Riccardo Magi (+Europa) e Alberto Pagani (Partito Democratico).
La mia caparbietà sul punto nasce dal fatto che la volontà contenuta in quei commi rientra in un ambito molto delicato per essere affrontato in modo generico, superficiale e frettoloso. Peraltro, la materia di cui si discute contrasta, a una oggettiva interpretazione attenta, con l’urgenza del decreto legge. Un occhio potenzialmente non attento, o non particolarmente sensibile a queste tematiche, potrebbe pensare che si sta trattando di questioni apparentemente minori, a maggior ragione se poste al cospetto del “mare magnum” normativo di un provvedimento omnibus, qual è il decreto legge “Rilancio”.
Ma l’obiettivo di questo mio intervento è proprio quello di attirare un’attenzione trasversale sul tema della valorizzazione del patrimonio immobiliare del ministero della Difesa (che comprende sia abitazioni che impianti e strutture), anche perché, a mio parere e in una visione maggiormente lungimirante, tale aspetto rientra nell’ambito del più generale problema della valorizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato, nelle sue varie articolazioni. Penso ad esempio all’irrisolto caso delle migliaia e migliaia di beni sequestrati alla criminalità, e alla gestione ancora incerta dell’Agenzia nazionale per l’Amministrazione e la destinazione dei Beni sequestrati e confiscati alla Criminalità organizzata (Ansbc).
Tenuto quindi conto che l’articolo 211, gli emendamenti prodotti, nonché le osservazioni rese nel parere al dl Rilancio dalla commissione Difesa della Camera, unicamente per le parti di sua competenza, non allontanano da un eventuale rischio l’intero patrimonio immobiliare della Difesa, credo che si stia continuando a procedere con la promozione di una variabile discrezionale che potrebbe determinare – finanche involontariamente – una gestione anomala e irragionevole di queste proprietà dello Stato. Ribadisco che la materia richiede studi approfonditi, ricognizioni valutative, analisi di fattibilità, che non risultano essere state ad oggi realizzate.
Pertanto, prima di introdurre nuove norme e nuove regole, il ministero della Difesa dovrebbe produrre un censimento accurato, sia a livello qualitativo che quantitativo, del patrimonio immobiliare in suo possesso, anche attraverso un database interattivo accessibile alla collettività, con indicazione precisa degli immobili, della loro localizzazione, delle loro caratteristiche strutturali, e finanche con una stima indicativa del loro valore a quotazioni di mercato (alienazione o locazione/affitto che sia). Un sistema di “geo-mappatura” è ormai possibile anche attraverso software di agevole utilizzazione. Questa fase di studio, analisi, monitoraggio dovrebbe essere preliminare a qualsivoglia decisione afferente questo patrimonio. Debbono essere poi previste adeguate cautele procedurali e precisi limiti nella definizione di ogni eventuale accordo tra “pubblico” e “privato”, in relazione alla utilizzazione, alla durata, ai vincoli volumetrici ed ambientali, alle caratteristiche essenziali dei sinallagma che si andrà a definire. Ritengo che, per la loro intrinseca delicatezza, questi contratti debbano essere sottoposti al parere preventivo vincolante delle competenti Commissioni di Camera e Senato.
Ritornando al percorso fin qui seguito, e per far fronte a una qual certa passività e inerzia di molti colleghi rispetto alla questione critica che ho sollevato, sono riuscita a ottenere un’audizione in Commissione, il 3 giugno (clicca qui per ascoltarla, il mio intervento è al minuto 32:10; la risposta inizia al 52:15), con il Brigadiere Generale Giovanni Sanzullo, Vice Capo dell’Ufficio Legislativo del Ministero della Difesa, dopo la quale ho cofirmato gli emendamenti soppressivi e riformulativi dei due commi di cui ho dato notizia prima.
Queste azioni, in attesa di raggiungere una posizione maggiormente condivisa col Governo, che tenesse conto dei rilievi sollevati inerenti la sicurezza nazionale. Nel momento in cui il Governo e i relatori hanno scelto una via a mio parere ancora troppo timida – ossia la possibilità che il Governo riferisca al Parlamento a cadenza annuale (ma ormai a cose fatte), e la possibilità di ricorrere all’accesso agli atti -, ho quindi espresso, mercoledì scorso 17 giugno, voto contrario al parere dato in commissione Difesa Camera sulle parti di nostra competenza, appunto contenute nel decreto legge “Rilancio”, lasciando agli atti, tra le altre cose, una proposta di parere alternativo.
Lo sottolineo sin dall’inizio del mio intervento: se le proposte fin qui affrontate divenissero legge dello Stato, si aprirebbero scenari critici – per alcuni aspetti inquietanti – anche in materia di sicurezza nazionale, senza entrare oltre nel merito dello svilimento della funzione dei parlamentari della Repubblica nell’iter di un provvedimento così delicato.
Non vorrei che questa accelerazione, una tale chiusura rispetto alla mia richiesta di approfondimento, siano circostanze collegate a un ipotetico disegno politico messo in atto per spingere in avanti interessi, per così dire, di vecchia data. Nei corridoi si vocifera ad esempio che il sen. Nicola Latorre potrebbe presto prendere il posto dell’ing. Anselmino alla guida di AID (Agenzie Industria Difesa). Auspico perlomeno che in qualsiasi scenario futuro dell’AID, a prevalere siano sempre l’esperienza e la competenza, e non altre qualità che magari attengono la sfera privata a scapito del principale interesse pubblico.