SALUTE

Bracciali elettronici e sorveglianza di massa contro il Covid? Sono solo distopie. O no?

Siamo sicuri che sacrificare la privacy sull’altare di un’emergenza possa essere una scelta auspicabile?

La paura, si sa, è una condizione distorsiva delle nostre scelte e porta all’accettazione di compromessi altrimenti insostenibili. Può essere uno strumento di insegnamento (si pensi alle fiabe dei fratelli Grimm), di controllo e manipolazione, ma fondamentalmente è uno stato della mente. Apre a scenari, positivi o negativi, spesso inimmaginabili.

Cogliamo l’occasione piuttosto per una breve storia di finzione, basata su un’app “distopica” e sul coinvolgimento degli assistenti domestici per la gestione dell’emergenza pandemica.

Fondiamola su di un presupposto: che diamo per vero e senza alcun minimo dubbio che il contact tracing sia non soltanto l’unica via percorribile verso la panacea che porrà fine all’epidemia, ma che automaticamente renda accettabile ogni compromesso e abbatta ogni resistenza. Insomma: che sia assolutamente prevalente su qualsivoglia altra necessità di tutela di diritti e libertà, quali può essere la resistenza ad interferenze nella vita privata, privacy o tutela dei dati personali.

A questo punto, vista l’ineliminabile e preminente esigenza, perché non immaginare uno scenario in cui questa app non trovi alcun ostacolo e possa essere integrata anche all’interno degli assistenti domestici?

Quasi certamente sarà possibile ottenerli a prezzo calmierato, o ancor meglio saranno quasi certamente distribuiti in tutte le case, uffici e locali senza alcun costo per l’utente finale. Inoltre, potranno avere molte funzioni utili agli utenti per il contrasto alla pandemia: assicurano un monitoraggio costante, possono comunicare i dati alle autorità sanitarie, possono anche chiamare aiuto in caso di bisogno e provvedere ad alcune forme di sostegno psicologico. E non solo: a scadenze prestabilite acquisiscono i dati sulla salute di tutti gli abitanti di una casa o i soggetti presenti all’interno di un ufficio o di un ambiente chiuso, potendo anche informare sulle misure di quarantena o lockdown applicabili.

Inoltre, registrando il proprio bracciale indossabile sarà più facile monitorare non solo lo spostamento degli utenti e le occasioni di contatto, ma anche la presenza di un utente autorizzato o meno all’interno di un determinato ambiente, eliminando così quelle fastidiose e spesso incomprensibili autodichiarazioni. Si può ragionare inoltre sugli ulteriori benefici collegati alla prevenzione delle intrusioni domestiche, ma è bene restare sul contributo relativo alla gestione dell’emergenza pandemica.

Ogni problema relativo all’invasività dell’app magari potrà essere agilmente risolto prevedendo il suo funzionamento all’insaputa dell’utente se non attraverso qualche sporadico pop-up o alert. In fondo, se dobbiamo convivere con il virus a maggior ragione sapremo pur convivere anche con un angelo custode digitale.

Chiudendo la finestra su uno scenario distopico, un’ultima provocazione è d’obbligo.

In tempi di emergenza, come quelli che stiamo vivendo, vediamo a rischio la nostra vita e dunque siamo disposti al sacrificio di ben più d’una delle molte libertà di cui, per nostra fortuna, disponiamo. Stiamo insomma invertendo, tendenzialmente, quel processo costitutivo delle libertà in cui alcuni hanno sacrificato la propria vita.

Siamo però proprio sicuri che sacrificare la “privacy” tout-court sull’altare di un’emergenza possa essere una scelta auspicabile?

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