
Forse perché siamo appena usciti da un lungo periodo di isolamento, forse perché siamo preoccupati per il nostro futuro economico e forse perché le notizie non circolano come dovrebbero, non ci rendiamo bene conto di cosa stia succedendo dall’altra parte dell’Atlantico. Il 25 maggio George Floyd stava cercando di comperare delle sigarette con un biglietto da venti dollari che il negoziante però riteneva falso. Nove minuti dopo l’arrivo della polizia di Minneapolis, Floyd, 46 anni, afroamericano, era morto. Chiamato dagli amici “Big Floyd”, era alto 2 metri e faceva il buttafuori presso un ristorante-bistro’ che da poco aveva chiuso a causa del Covid-19. George era stato licenziato.
Le proteste sono divampate in tutti gli Stati Uniti. E non solo. Proteste ci sono state in Francia e nel Regno Unito con manifestazioni davanti all’ambasciata degli Stati Uniti. Negli USA sono state pacifiche in alcuni casi, violente in altre. La situazione è divampata così rapidamente ed ha visto una così alta partecipazione che le varie polizie locali non sono state in grado di controllare le folle. Si parla di oltre 10.000 arresti. Trump ha schierato la Guardia Nazionale. Proteste fin davanti alla Casa Bianca si sono susseguite senza sosta. La decisione, con pochi precedenti, di dichiarare il coprifuoco in alcune città è stata solo l’ultima in ordine di tempo. Da New York a Washington DC, da Philadephia a Los Angeles il divieto di circolare per le strade è scattato a volte con un preavviso di una sola ora. Ma non hanno fermato le proteste che hanno visto dimostranti di colore unirsi a bianchi, messicani, asiatici, giovani e meno giovani tutti uniti nel dimostrare la propria rabbia ed indignazione.
Ma siamo sicuri che le ragioni di queste proteste, che hanno visto dei veri e propri saccheggi di negozi e centri commerciali, riguardino solo la morte di Floyd?
Nel giro di due mesi gli Stati Uniti hanno raggiunto l’astronomica cifra di 40 milioni di disoccupati. La piaga della pandemia ha colpito una Nazione che pure se aveva con Wall Street un trend di crescita positivo vedeva il “Main street” soffrire per l’alto livello di disuguaglianza, bassi salari e poco welfare.
Richard Wolff, professore emerito di economia all’Università del Massachussetts Amherst, fondatore di Democracy at Work, associa tali proteste alla condizione economica dei 160.000 lavoratori Americani che sono sotto assedio. Lo sono in realtà da decenni. Il loro salario non aumenta da anni ed hanno dovuto compensare questa stagnazione salariale con l’inserimento nel mondo del lavoro di altri membri della famiglia e poi ricorrendo al debito su larga scala. Nel 2008 la crisi dei mutui sub-prime ha esposto chiaramente il livello insostenibile del debito delle famiglie, debito che era loro stato offerto in sostituzione di quell’aumento salariale mai più avuto da anni. Ed il sistema deflagrò.Il sistema però è riuscito, dice Wolff, a trovare il modo di rimettere insieme i cocci, ricacciando però la forza lavoro nella stessa precaria condizione di prima: stessa disuguaglianza, stessi bassi salari, stessi debiti crescenti delle famiglie.
La pandemia del 2020 ha dunque sorpreso queste fasce sociali in uno stato di particolare debolezza e fragilità: senza risparmi, ed ora anche senza lavoro, hanno davanti a loro solo domande senza risposte. Ed il malessere si fa insostenibile. Anche chi ha potuto mantenere il proprio lavoro teme la competizione ; soprattutto per i lavori a bassa qualificazione è semplicissimo essere sostituiti dall’esercito di disoccupati. Ma questo è valido anche per lavori con più elevata specializzazione: si pensi ad esempio al settore del trasposto aereo dove migliaia di piloti hanno perso il lavoro e sarebbero pronti a subentrare ai colleghi che eventualmente non accettassero nuove e più penalizzanti condizioni contrattuali. Del resto quale migliore occasione per rinegoziare al ribasso le condizioni dei lavoratori: prendere o lasciare. Con il 25% di disoccupazione in soli due mesi non c’è nessun alcun ostacolo a rivedere i contratti. Qualche giorno fa i netturbini di New Orleans hanno scioperato perché chiedevano un aumento della paga oraria minima e perché chiedevano maggiori equipaggiamenti di protezione contro il Covid. Il risultato è che sono stati licenziati ed al loro posto l’agenzia che gestiva tale servizio ha impiegato i detenuti del locale penitenziario, ottenendo oltretutto un netto risparmio poiché la paga oraria di un detenuto è dieci volte inferiore al “minimum wage” di un normale lavoratore.
In passato ha funzionato associare le proteste alla sola questione razziale, ma questa volta sembra diverso.
Gli Stati Uniti hanno hanno il 5% della popolazione mondiale ma hanno avuto il 30% dei morti totali per coronavirus; Il Paese più ricco del pianeta non ha saputo limitare con il suo sistema sanitario la perdita di un così grande numero di vite umane .
Nel 2019 la polizia Americana ha ucciso 1004 persone; nello stesso periodo di tempo in Inghilterra e nel Galles i morti sono stati 3. In Australia 9, in Danimarca zero ed in Giappone 2 persone.
In sostanza questo sistema mostra tutte le sue crepe e la sua incapacità di distribuire benessere come un tempo era in grado di fare.Il sogno Americano degli anni 70 che faceva prosperare le famiglie, regalandogli gli “happy days” capaci di contagiare tutto il resto dell’occidente e non solo, sembra sbiadito e solo un lontano ricordo.
Allora la domanda che ci siamo posti è più che mai legittima: queste proteste senza fine e senza controllo sono davvero solo legate alla morte di George Floyd o riguardano un sistema economico che non fornisce più ciò che promette?