
Uno dei problemi posti dalla quarantena da Coronavirus è che sia la didattica, sia gli esami universitari si svolgono online. Nel caso degli esami, in particolare, in ambito accademico si sta diffondendo l’uso di software di “protctoring” che, nella sostanza, prendono il controllo del computer dello studente e consentono al docente una sorveglianza molto estesa di ciò che accade durante l’esame.
Il fine sarà anche legittimo, ma il modo in cui viene perseguito molto probabilmente, no.
Queste sono le preoccupazioni alla base di una petizione lanciata su Change.org con la quale gli studenti dell’università Bocconi chiedono che l’ateneo smetta di utilizzare Respondus Monitor, un software di proctoring, appunto, che da quanto si legge:
- richiede agli studenti di mostrare all’università l’intera stanza con la telecamera,
- registra gli studenti che mostrano la loro carta d’identità universitaria, o per quelli che non ne hanno una con sé, la loro carta d’identità e memorizzare questi dati,
- analizza (pare) i log dei computer (sono componenti di Windows che contengono dati altamente sensibili, come ad esempio quali programmi sono installati),
- tracciano i movimenti oculari al punto che un professore ha dovuto avvertire i suoi studenti che, durante un esame, “non si può distogliere lo sguardo dallo schermo”. Neanche per un secondo”.
Inoltre, sempre a dire dei promotori della petizione, la privacy policy di Respondus attribuisce il permesso di condividere i video, pur anonimizzati, con ricercatori di terze parti e di conservare i dati fino a cinque anni.
E’ vero, tutti questi trattamenti sono condizionati alla prestazione del consenso da parte dello studente, ma a parte il fatto che da docente universitario mi sentirei in estremo imbarazzo ad invadere in questo modo la vita privata di uno studente, sta di fatto che, secondo il GDPR, il consenso non sarebbe valido e dunque i trattamenti non consentiti.
In primo luogo, infatti, il consenso non è libero: lo studente non ha una reale possibilità di decidere in autonomia se consentire all’università e agli sviluppatori di comportarsi in quel modo. O accetta, o non fa l’esame.
In secondo luogo, benchè la finalità del trattamento sia quella di assicurare la regolarità dell’esame, le modalità concrete con le quali ciò avviene sono eccessive e dunque prevale il diritto dell’interessato – la tutela della sua dignità, in particolare – a non vedersi sottoposto a questa forma di controllo invasivo e, per certi versi, umiliante.
In terzo luogo, non si capisce perchè il controllo a distanza dei lavoratori è sottoposto a tutta una serie di garanzie di legge (e in particolare al fatto che il consenso del lavoratore prestato individualmente non vale) mentre nel caso degli studenti basta selezionare qualche check-box e questo dovrebbe bastare a rispettare la normativa sul trattamento dei dati personali.
Non so se altre università stiano utilizzando Respondus Monitor o piattaforme analoghe, ma sarebbe interessante leggere la valutazione di impatto ai sensi dell’articolo 35 del GDPR e il parere dei DPO (che dovranno per forza essere stati consultati) e capire in che modo abbiano potuto giustificare una scelta che trasforma il docente nel maestro del video di Another Brick in The Wall.