SALUTE

Dopo il Covid-19 tornerà il tifo

Si pensava che qualora lo spettacolo del pallone fosse stato sospeso ci sarebbero stati dei disastri, ma così non è stato

Presto ripartirà il campionato di calcio. Forse lo sport nazionale non è un “male”. Il male semmai è il tifo.
Il tifo è un sentire abnorme da cui dipendono tutta una serie di comportamenti e stati d’animo “anomali”. Non a caso l’etimologia greca della parola tifo può anche tradursi come “febbre”, cioè una specie di pensiero con alcune caratteristiche del “delirio”, prima fra tutte il distacco dai piani di realtà.

Ci riferiamo a tutte quelle persone il cui umore dipende dal risultato della partita e a tutto ciò che ruota intorno a questo fenomeno: non solo spettacoli televisivi e radiofonici, ma anche a coloro che in ogni ambito lavorativo o sociale parlano in maniera appassionata e ridondante, e da cui subiamo, spesso passivamente, un martellamento a volte spiacevole.

Si  percepisce chiaramente che questa passione è su base irrazionale, come “incidenza immaginaria” in tutta la filiera dei suoi significati; “incidenza immaginaria” evidente nei cronisti radiofonici che durante alcune trasmissioni sportive si rivolgono al loro pubblico chiamandolo “la platea di sportivi”, platea costituita magari da uomini spiaggiati su un divano con una pancia a mongolfiera a cui viene il fiatone soltanto salendo un piano di scale. E’ in un piano distaccato di realtà anche il racconto durante una trasmissione radiofonica, della sofferenza di un anziano signore che era ”in lacrime”, con la voce rotta dal pianto, per un rigore non concesso alla propria squadra del cuore e che, poco prima,  aveva descritto la tragedia dei propri figli disoccupati e senza casa con una certa pacatezza e tranquillità d’animo. Un’incidenza immaginaria sì, ma che nella nostra vita che non si sarebbe mai potuta nemmeno mettere in discussione se non fosse arrivato il lockdown. Questo esperimento sociale, oltre che stimato pericolosissimo, sarebbe stato di fatto impossibile da realizzare.

Negli anni ‘80 l’Espresso intitolava “l’Italia è una Repubblica fondata sul pallone” sottolineando quanto gli italiani fossero dipendenti dal calcio, visto non solo come evento agonistico ma come una panacea universale foriera di pace sociale, capace di tenere in piedi i governi, di risoluzioni di conflitti sociali ed economici. Ancora oggi si cerca di dimostrare come personaggi del mondo dell’arte o intellettuali siano anch’essi tifosi per rinforzare l’idea che essere tifosi è auspicabile.

Si pensava che qualora lo spettacolo del calcio fosse stato sospeso ci  sarebbero stati dei disastri e invece… E invece  possiamo dire in questo periodo di pandemia da Coronavirus, in cui le partite di Calcio sono state sospese per lungo tempo, che così non è stato.  Le temute conseguenze di questa arma di distrazione di massa non si sono fatte sentire neanche un po’. Anzi, se proprio dovessimo fare un bilancio, potremmo dire che l’assenza di questo martellante “rito tribale” ci abbia anche un po’ migliorato. Il calcio è un pilastro importante dell’economia italiana e ruotano forti interessi economici, mercato che ne approfitta ma non crea una audience smisurata in quanto creata dal tifo e non il contrario.  Ci sono bisogni di massa che trovano come facile valvola di sfogo il tifo e dunque diventa così potente e pervasivo. Ma se non ci fosse, queste istanze sociali avrebbero sfoghi più tortuosi ma più giovevoli per la società?

Ma se fosse così anche per la televisione? La televisione essendo presente in ogni casa può accompagnare la vita quotidiana di ognuno di noi. Si è detto che chissà quali danni avremmo mai potuto avere se non ci fosse stata ad assorbire tutta l’aggressività, la solitudine delle persone, la frustrazione sociale: specie in alcuni  spettacoli in cui va di scena il sadismo travestito da pietà tipo “Chi l’ha visto?” o il voyeurismo accattone di “Uomini e donne”…

Può sorgere il dubbio che tante cose che riteniamo necessarie per mantenere l’equilibrio sociale e forse il nostro stesso equilibrio mentale siano solo delle pseudo-realtà e che eliminarle ci renderebbe diversi, forse migliori.

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