
L’ultima in ordine di tempo è stata la Lega in Lombardia, per bocca del segretario regionale Paolo Grimoldi: “Chiederemo un risarcimento di 20 miliardi alla Cina per i danni provocati dal Coronavirus”, ha tuonato in Consiglio regionale.
Recentemente anche il Codacons ha raccolto adesioni per una class action contro le presunte violazioni dello Stato cinese.
Anche negli Stati Uniti, in Germania, in Gran Bretagna sono state avviate azioni legali nei confronti del governo cinese ritenuto responsabile di aver deliberatamente nascosto portata, diffusione e letalità del virus.
Sostanzialmente, nelle denunce si legge che le autorità cinesi nelle settimane iniziali dell’epidemia hanno occultato informazioni essenziali arrivando ad arrestare persino i medici che cercavano di rendere pubblica l’evoluzione della pandemia, causando così una catastrofe sanitaria ed economica in tutto il mondo.
In alcune istanze non è specificata l’entità del risarcimento in altre si, come in quella della Lega che richiede un indennizzo di 20 miliardi di euro.
Ma a chi vanno presentate queste denunce e di chi è la competenza giurisdizionale a trattarle?
Sicuramente non è compito dei tribunali interni di uno Stato chiamare in giudizio un altro Stato in quanto le Corti domestiche non sarebbero poi in grado di far eseguire la sentenza e ancor meno di ottenere i risarcimenti richiesti.
Trattandosi di un illecito internazionale, in quanto secondo i denuncianti è stato violato un obbligo internazionale – quello di informare in materia di emergenza sanitaria – bisognerebbe rivolgersi ad un organo giurisdizionale sovranazionale che potrebbe identificarsi nella Corte Internazionale di Giustizia. Ma qui sorge il primo problema, perché la Cina non ne fa parte e, conseguentemente, non ne riconosce il giudicato.
Si può allora ricorrere al Progetto della Commissione Internazionale di Diritto Internazionale che, elaborato nel 2001, tratta espressamente la responsabilità degli Stati per gli specifici illeciti.
In base a tale articolato, lo Stato leso può invocare la responsabilità di un altro Stato e pretendere un risarcimento che l’autore della violazione sarebbe tenuto a soddisfare.
In caso di diniego lo Stato leso può adottare delle contromisure lecite, che non implichino l’uso della forza o la minor tutela dei diritti umani.
A differenza dello Statuto della Corte Penale Internazionale che prevede precise competenze e sanzioni per punire i crimini internazionali, la Commissione di Diritto Internazionale non ha natura imperativa e l’efficacia delle norme viene meno in relazione alla non ben specificata possibilità di reazione cui sono legittimati gli Stati lesi.
Nel non voler contemplare alcuna specifica risposta, la Commissione ha mostrato di non voler assumere alcuna posizione definitiva e ha perso l’occasione perlomeno di disciplinare un rapporto giuridico che sarebbe potuto intercorrere tra responsabilità degli Stati per tali tipi di illecito e il sistema sanzionatorio delle Nazioni Unite.
Insomma, l’unico riferimento giuridico cui ci si potrebbe appigliare è una disciplina ambigua che ha creato solo ulteriori incertezze, non fosse altro perché non è indicata un’autorità che dovrebbe fare rispettare le eventuali sanzioni.
Rimane l’Arbitrato, qualora le Parti in contenzioso fossero d’accordo a ricorrervi.
Cosa difficile, in quanto il Ministero degli Esteri cinese ha già dichiarato che qualsiasi denuncia che non si basi su fatti o prove è da considerare completamente assurda ed ogni azione svolta dal proprio Governo è al di fuori delle competenze dei tribunali di altri Stati. E su questo ultimo punto ha ragione.
Come si può ben vedere, quando non si è in presenza di crimini internazionali ben contemplati dalla Corte Penale Internazionale, il percorso per definire e reprimere illeciti internazionali di altra natura è molto complesso e dai risultati illusori. Sicuramente il consigliere Paolo Grimoldi e i rappresentanti del Codacons avranno ben esaminato la complessità di tutto ciò, ma vogliono comunque procedere. Staremo a vedere, probabilmente si aprirà una nuova stagione del diritto internazionale.