SALUTE

Basta coi complotti. Il coronavirus ha avuto origini naturali

Il messaggio in bottiglia arriva da Leopoldo Maria De’ Filippi, Generale di brigata della riserva dei Carabinieri che nei suoi trascorsi professionali ha – tra l’altro – il comando del Gruppo Carabinieri Antisofisticazioni e Sanità di Milano, periodo durante il quale ha maturato una importante esperienza specifica in materia di grandi contagi con la pandemia di SARS-aviaria.”

La pandemia, senza alcuna ombra di dubbio, ha avuto origine in Cina. Senza ricorrere ad assurde ipotesi complottistiche, frutto di sciocche elucubrazioni fantascientifiche, o fantapolitiche (il virus, creato o elaborato artificialmente, uscito, per errore, da un laboratorio militare cinese ove si studiavano armi per la guerra batteriologica, oppure portato in Cina, per indebolire l’economia di quella nazione, da atleti americani in occasione dei Giochi Mondiali Militari, svoltisi proprio a Wuhan nell’ottobre 2019), il virus ha avuto origini naturali, come documentato e dimostrato da studi sul suo RNA (l’acido ribonucleico, in parole povere una macromolecola biologica che è una sorta di dizionario dell’informazione genetica, che traduce il linguaggio codificato del DNA, cioè i geni, negli amminoacidi delle proteine e che è formato da una singola catena di polinucleotidi, mentre il più noto DNA, l’acido desossiribonucleico, è costituito, invece, da due filamenti di nucleotidi, orientati in direzioni opposte, che si avvolgono l’uno all’altro formando la cosiddetta “doppia elica”) e, in particolare, a causa delle precarie condizioni igienico-sanitarie dei cosiddetti “wet market”, cioè i “mercati umidi” cinesi che, però, esistono e sono diffusi anche in tutto il sud est asiatico (Vietnam, Cambogia, Laos, Thailandia, Malesia) e in India.

In quei mercati si vende la carne non solo degli animali da reddito (bovini, ovini, suini, pollame, pesci), ma anche di animali selvatici (cervi, procioni, coccodrilli, scimmie, serpenti, pipistrelli e, persino, pangolini e, in Cina, topi), ma non sono assenti anche animali domestici, come i cani, per rispondere alle abitudini gastronomiche (discutibili fin che si vuole, ma che appartengono al loro mondo culturale) di quei popoli. Poiché moltissimi clienti desiderano consumare carne “fresca”, gli animali ancora vivi vengono venduti e macellati al momento, là nel mercato, e i loro resti, il sangue, le viscere, le squame, le pelli e l’acqua utilizzata per lavarli, vanno a lordare le bancarelle e la pavimentazione. Questi mercati vengono chiamati “wet market”, “mercati umidi”, proprio per questo motivo.

Gli animali vivi, destinati alla macellazione, sono tenuti in gabbie luride, disidratati, affamati e malati, stipati insieme con un’insolita commistione di animali selvatici, animali domestici e altri animali; inoltre, questi animali sono trasportati per grandi distanze e, quindi, sono stressati e immunodepressi ed espellono qualsiasi agente patogeno che hanno in loro. In questo modo, si determinano le condizioni ottimali per la diffusione delle zoonosi, termine che etimologicamente, dalla lingua greca antica, significa “malattia animale”. Le malattie zoonotiche sono rappresentate da qualsiasi malattia infettiva che può essere trasmessa dagli animali all’uomo (o viceversa), direttamente (tramite contatto con la pelle, peli, uova, sangue, secrezioni), o indirettamente (tramite altri organismi o materiali vettori infetti – come superfici metalliche o plastica – o ingestione di alimenti infetti).

I “mercati umidi” rappresentano un pericolo reale e concreto per l’uomo, costituendo, quindi, un’effettiva e grande minaccia per la salute pubblica (non solo localmente, ma con la globalizzazione, anche a livello mondiale), ed è proprio qui che in passato sono nate diverse epidemie, inclusa la SARS aviaria del 2002 – 2005 (SARS è l’acronimo, in inglese, di “Severe Acute Respiratory Syndrome”, cioè “sindrome respiratoria acuta grave”), una forma atipica di polmonite causata dal virus SARS-CoV, apparsa per la prima volta nella provincia di Canton, sempre in Cina.  I ricercatori ritengono che anche il COVID-19 abbia probabilmente avuto origine in un “wet market” di Wuhan, in Cina, mercato particolarmente noto per il commercio di animali selvatici, tenuto conto del gran numero di persone che lo visitano e vi lavorano e che vengono costantemente in contatto con i fluidi corporei di questi animali, creando, così, un mix ideale per la diffusione della malattia.

L’origine naturale, e non elaborata o prodotta artificialmente, del virus è convalidata, peraltro, da una ricerca, finanziata dal Ministero della Salute, consistente in un’indagine conoscitiva preliminare, finalizzata alla tutela della salute animale ed umana, sulla correlazione tra i Chirotteri (la “famiglia” dei pipistrelli) e le malattie infettive emergenti, condotta, nel corso di tre anni, da un Team nazionale allargato coordinato dal dr. Riccardo Orusa, direttore della Sezione Valle d’Aosta e del CeRMAS (Centro di Referenza Nazionale per le Malattie degli Animali Selvatici) dell’I.Z.S. – Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta (con il quale ho avuto una proficua collaborazione, quando comandavo il Gruppo Carabinieri A.S. di Milano, in occasione di due delicate e complesse indagini nello specifico settore di competenza del reparto speciale) e dalla sua squadra, che, nel 2016, ha portato alla scoperta, negli organi interni di alcuni esemplari di pipistrello nano (pipistrellus pipistrellus), di una serie di Coronavirus genotipizzati, tra i quali 5 Beta – CoVs, in questo caso like-SARS CoV simili all’86,4 % al SARS Coronavirus, e 15 Alpha – CoVs.

I risultati di tale ricerca, che non sembra abbiano prodotto ampia e chiara risonanza in Italia, sono stati, invece, pubblicati nel 2017, con enfasi, negli Stati Uniti sull’importante e prestigiosa rivista di scienza e medicina veterinaria “BMC Veterinary Research”, in un articolo intitolato “Coronavirus e paramyxovirus nei pipistrelli dell’Italia nordoccidentale”. Quella ricerca, in particolare, ha dimostrato la notevole resilienza (cioè la capacità di una materia vivente di auto ripararsi dopo un danno e di ritornare o permanere nello stato iniziale anche dopo il contatto con determinati virus; si pensi che il pipistrello africano è il portatore primario del virus dell’ebola), ma anche la non pericolosità, in natura, dei pipistrelli in Italia verso la specie umana in rapporto alle zoonosi (le malattie che dagli animali si tramettono alla specie umana e viceversa), per l’elevatissima “specie-specificità” (cioè la specificità di organismi e di sostanze rispetto a una determinata specie zoologica) che i virus sequenziati (cioè ordinati determinandone, con specifiche tecniche, la sequenza dei nucleotidi) nel corso della ricerca e descritti nella pubblicazione posseggono in natura, coesistendo insieme ai loro serbatoi naturali, in questo specifico caso alcuni pipistrelli, e che possono fare il “salto”, diventando trasmissibili all’uomo solo a seguito della commistione con altri animali, per esempio scimmie o pangolini, così come avviene nei “wet market”, i cosiddetti “mercati umidi” cinesi. Da qui la forte necessità, peraltro dichiarata espressamente nella conclusione della pubblicazione, di continuare a fare studi nello stesso filone della ricerca, anche con idonee risorse, al fine di implementare al massimo le conoscenze per tutelare maggiormente la sanità pubblica in visione olistica ed “one health” (lett. “unica salute”), cioè un modello sanitario basato sull’integrazione di discipline diverse e sul riconoscimento che la salute umana, la salute animale e la salute dell’ecosistema siano legate indissolubilmente tra loro.

La pandemia è da attribuirsi, in modo esclusivo, alla Cina.

Il problema pandemico è stato originato dal ritardo con cui le autorità cinesi (che, forse, speravano di riuscire a contenere e superare la situazione, non dandone notizia all’esterno per evitare danni economici e di immagine) hanno attivato, a fine dicembre, lo specifico stato di allerta all’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, agenzia speciale dell’ONU, con sede a Ginevra, mentre, già il 18 novembre, il quotidiano indipendente di Hong Kong “South China Morning Post” riportava la notizia di casi di infezione da un coronavirus di nuovo tipo già noti alle autorità.

Infatti, la datazione riportata dal “Situation Report – 1” in data 21 gennaio 2020 dell’O.M.S., relativo al “Nuovo Coronavirus (2019-nCoV)”, evidenzia tale ritardo indicando:

  • il 31 dicembre 2019 come la data in cui il Dipartimento dell’Area Cinese dell’O.M.S. è stato informato dalle autorità cinesi dei casi di polmonite da eziologia, cioè causa, sconosciuta rilevata nella città di Wuhan, nella provincia cinese di Hubei;
  • il 7 gennaio 2020 come la data in cui le autorità cinesi hanno identificato, isolandolo, un nuovo tipo di coronavirus, condividendo, il successivo 12 gennaio, la sequenza genetica del nuovo coronavirus affinché i paesi potessero utilizzarla per sviluppare specifici kit diagnostici;
  • il 20 gennaio 2020 la data in cui sono stati confermati come dipendenti dal nuovo coronavirus 2019-nCoV i casi rilevati in quattro paesi, Cina, Repubblica di Corea (del sud), Tailandia e Giappone e, negli ultimi tre, indicati come importati dalla Cina; peraltro la Thailandia aveva già inoltrato la segnalazione il 12 gennaio, mentre il Giappone il 15 gennaio.

Ma, ormai, dalla Cina il virus era nel frattempo già arrivato in Germania, precisamente in Baviera (questo è un dato sicuro e accertato) e, da qui, si è propagato in Francia e in Italia.

Back to top button