
Al culmine della crisi di ricoverati per coronavirus e del conseguente sovraffollamento degli ospedali spesso si è sentito parlare di tormentate scelte da parte dei medici per avviare con priorità alla terapia intensiva chi avesse maggiori aspettative di vita.
Sono stati inondati di critiche quei medici che hanno onestamente dichiarato che di fronte ad una persona anziana con pregresse patalogie e scarse possibilità di reggere il trauma di un’intubazione hanno preferito cercare di salvare un malato più giovane con più alte speranze di sopravvivenza.
La triste verità è emersa in queste drammatiche circostanze, ma è sempre stato così in analoghe circostanze.
Ogni qualvolta si presenti una situazione straordinaria tipica della medicina di guerra o delle catastrofi, con insufficienza di mezzi e di personale rispetto alle persone che hanno bisogno di aiuto, viene attivata una procedura finalizzata a salvare il più alto numero dei chiedenti soccorso dirigendo le cure verso chi ha più possibilità di sopravvivere.
La pratica ha origini lontane e, come spesso accade nella storia, deriva da accadimenti sanguinosi come la guerra, situazione tipo ove più si evidenzia forte discrepanza tra richiesta e offerta di assistenza.
Fu ideata da un medico militare, Jean Dominique de Larrey, chirurgo al seguito di Napoleone e, infatti, è denominata con un termine francese, triage, che significa ‘cernita, smistamento’. Nelle intenzioni del suo ideatore il sistema doveva servire per selezionare i feriti secondo classi di urgenza attribuite in base alla gravità delle lesioni riportate e del loro quadro clinico e già al tempo escludeva dalle cure coloro che, per la gravità delle loro condizioni, avevano minime possibilità di sopravvivenza.
Il triage in situazione di normalità permette all’impianto di soccorso di dirigersi con tempestività verso le persone che presentano quadri clinici più critici mentre in situazioni emergenziali o di conflitto si pone l’obiettivo di salvare il più alto numero di vittime partendo dal calcolo di probabilità di sopravvivenza delle stesse.
De Larrey seguì Napoleone in quasi tutte le campagne e non solo fu inventore del ‘triage’ ma ideò anche un sitema di carri ‘ambulanza’ con cui i medici militari seguivano gli spostamenti delle truppe e potevano intervenire con tempestività sui feriti in combattimento. Questi secondo la gravità delle lesioni potevano essere curati sul posto – e tornare così a combattere in breve tempo – o smistati presso strutture ospedaliere arretrate.
Nominato professore alla Scuola Militare di medicina e Chirurgia a Parigi, dopo la campagna d’Italia esportò il modello anche nelle regioni italiane conquistate, istituendo varie scuole di chirurgia da campo e uno specifico Corpo Sanitario da impiegare nelle missioni militari.
Catturato dai prussiani a Waterloo fu graziato dallo stesso Comandante in capo von Blucher cui aveva salvato il figlio ferito ad Austerlitz . Morì molti anni dopo di morte naturale, fu fondamentale nella storia della medicina per molte scoperte che divennero fondamentali per la cura di malattie sino a quel tempo sconosciute.
Molti film e molti autori di narrativa hanno cercato di rappresentare lo stato psicologico di chi si trova di fronte a compiere scelte che incidono sulla sopravvivenza di una persona ma le drammatiche interviste al personale sanitario degli ospedali più colpiti dall’epidemia descrivono meglio di ogni volume le condizioni emotive con cui devono convivere ogni giorno medici rianimatori e infermieri che invece di critiche meritano, pertanto, ogni considerazione.