ECONOMIA

Chi mette le mani sul nostro turismo

Tra gli effetti collaterali dell’evento pandemico può esserci il rischio del passaggio di mano di una fetta importante del settore turistico nazionale

Nei miei anni verdi una nota marca di tè, omonima di una compagnia italiana di voli nazionali ormai perduta, pubblicizzava il suo prodotto con lo slogan: “La forza dei nervi distesi”.

Leggendo Stefano Elli sul Sole24Ore del 24 aprile, si evince come tra gli effetti collaterali dell’evento pandemico, ci possa essere il rischio del passaggio di mano di una fetta importante del settore turistico nazionale. La peculiarità di questo settore sul nostro territorio è data dalla polverizzazione della proprietà delle strutture o della gestione.

Le grandi catene internazionali, pur presenti in Italia, rappresentano il 5% delle strutture ed il 15% delle camere totalmente disponibili. Il resto? In mano ad imprenditori privati, tanto con una lunga tradizione di famiglia nell’ospitalità e proprietari in qualche caso di più strutture, quanto di gestori di singole strutture.

Ometto volutamente il fenomeno recente delle locazioni turistiche o le altre forme di ospitalità che, pur manifestandosi in maniera similare nell’offerta e meritando comunque il massimo rispetto, hanno logiche imprenditoriali di gestione completamente diverse da quella tipicamente alberghiera.
Organizzazioni economiche caratterizzate da una forte liquidità, i cui bilanci non depositati sono comunque di facile intuizione, dotate di un servizio informativo degno dello Rear Admiral John Godfrey caro a Ian Fleming, avrebbero cominciato a contattare, e si parte sempre da quelli più esposti finanziariamente, gli albergatori della riviera romagnola offrendo il classico accordo tombale, che pone sì fine ad un periodo più o meno lungo di onorata carriera ma che consente l’onore delle armi.

La tentazione potrebbe essere forte, vuoi per il miraggio di monetizzare un discreto trattamento di quiescenza aggiuntivo, vuoi per l’effetto liberatorio da una situazione debitoria impegnata che, rebus sic stantibus, potrebbe portare, in un futuro molto vicino, a trattare disonorevoli chiusure e probabili conseguenze patrimoniali devastanti, con altre organizzazioni economiche, anch’esse fortemente dotate di liquidità, ma che agiscono sotto altre ragioni sociali, hanno una partita iva e sono universalmente riconosciute.

Ineccepibile quindi, l’allarme lanciato del prefetto di Rimini Camporota, immediatamente raccolto dal ministero competente.
Corretta anche la dichiarazione del senatore Giarrusso, che vuole emendare in via temporanea la normativa antiriciclaggio rendendo obbligatoria la segnalazione di operazioni sospette sulle compravendite del comparto alberghiero turistico e ricettivo.
Ma è la soluzione?

Le organizzazioni economiche, a vario titolo citate in precedenza, hanno entrambe, e per motivi diametralmente opposti, la forza dei nervi distesi, forza che manca al Don Abbondio di manzoniana memoria, “vaso di terracotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro” e che, dismessi in questo caso i panni di curato di campagna, fa il piccolo albergatore con la Perpetua come femme de chambre.

E per distendere i nervi, al nostro Don Abbondio sarebbe sufficiente una moratoria che copra l’anno in corso.
Il 2020, con tutto il fascino cabalistico che porta con sé, da un punto turistico alberghiero è andato.
Le strutture continueranno ad indebitarsi per sostenerne i costi, quelli variabili per forza di cose scenderanno, un sostegno a quelli fissi sarebbe gradito.

Nessuno vuole regali, o fondi perduti – brutta espressione che, pur indicando prestiti a babbo morto, evidenzia anche una drammatica perdita di danaro.
Ben venga un sistema creditizio disposto ad allungare – motu proprio o ope legis – quanto in precedenza pattuito, a ristorarlo e a trarne, perché no, il giusto profitto.

Così potremmo trovarci a raccontare alle future generazioni come superammo il Covid 19, grazie alla forza dei nervi distesi, grazie ad un tè, quando grazie al senso dello Stato potemmo offrire ai “cattivoni” che volevano “mangiarci” un bellissimo… tiè! 

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