
L’etimologia della parola “crisi” ci riporta ad un interessante punto di partenza: ‘’krisis’’ nell’antica Grecia voleva dire ‘’giudizio’’, ‘’distinzione’’, radice dalla quale si originano le parole ‘’critico’’ e ‘’criticare’’. Il tempo ha contaminato questa parola dandone un significato più ampio e legandolo, talvolta, ai problemi esistenziali di una persona, come anche a un periodo di depressione economica. Il passaggio fondamentale è stato nell’ingresso della parola ‘’krisis’’ nel mondo medico antico, ossia ‘’un cambiamento rapido del decorso di una malattia, che porta alla morte o alla guarigione’’, come troviamo negli scritti di Galeno (II-III sec. d.C.) che commentava Ippocrate. Oggi del lugubre ‘’alla morte o alla guarigione’’ resta ‘’stagnazione o crescita’’ e la crisi resta identificata come una malattia che pone l’uomo e la società di fronte al bivio esistenziale tra la morte e la vita.
In ogni crisi che abbiamo vissuto ci resta la cognizione di un “prima”, di un “dopo” e di un “mentre” che significa sofferenza, quest’ultima necessaria. Prendiamo ad esempio la crisi adolescenziale che ha portato tutti noi a guardarci dentro e, non essendo abituati, siamo andati “in crisi”. Abbiamo sì sofferto, ma è stato il passaggio necessario per l’upgrade da bambini ad adulti.
C’è una frase che mi piace ricordare: ‘’Il potenziale umano al suo meglio è trasformare una tragedia in un trionfo personale, per trasformare la propria situazione in un risultato umano ’’. A scriverla è stato Viktor Emil Frankl, un neurologo, psichiatra e filosofo austriaco che fu dal 1942 al 1945 prigioniero in quattro campi di concentramento nazisti, tra cui Auschwitz e Dachau.
La crisi come ogni sofferenza più o meno estrema ha come stretto connubio un termine molto usato in questo periodo, la “resilienza” dove i deboli del prima saranno più deboli nel dopo sofferenza ed i più forti saranno più sani, come accade per un uragano che si abbatte su un’isola dove gli alberi deboli risulteranno malconci ed i più forti non solo resisteranno, ma cresceranno più rigogliosi di prima.
In questa crisi attuale ci sono diversi fattori da analizzare, ma simili ad altre crisi dove oggi noi siamo nel dopo di quest’ultime e contemporaneamente nel mentre della attuale situazione dovuta al COVID, ma guardando bene possiamo ragionare su focus ben precisi.
La prima regola da seguire è il ‘’no panic’’, spesso abbiamo la presunzione di cambiare cose che dovremmo accettare acquisendo un senso di sconfitta non riuscendoci e differentemente accettiamo fattori di vita che potremmo cambiare per migliorarci.
Seconda regola, non lamentarsi, la lamentela su un fattore, ad esempio il lavoro, poi si trasmette su famiglia, amici e continuando fino a metterci con il dito puntato verso altrui colpe.
Ricordiamo il principio di Pareto, dove il 20% delle cause provoca l’80% degli effetti.
In questo momento in cui siamo socialmente isolati siamo orientati a guardarci dentro, azione che non siamo abituati a fare e molti vanno in crisi di conoscenza del proprio senso di scopo e per l’esiguo controllo che si ha sul proprio futuro.
Il principio di approccio alla crisi – che sia malattia, prigionia, incidente – è costituito dal differente mindset.
L’aviatore Jim Stockdale fu tenuto prigioniero in Vietnam per otto anni e venne torturato atrocemente per venti volte. Quando gli chiesero come fece a resistere, lui raccontò di non aver mai messo di sperare. Questa non è una risposta banale perché disperarsi e arrendersi è la grande tentazione mentre guardare la cruda realtà del presente è la vera salvezza, opponendoci al destino nella convinzione del lieto fine.
Stockdale era cosciente di poter morire ma fece di tutto per poter sopravvivere istituendo un codice di condotta molto severo che lo salvò nella prigionia.
Il grande nemico del #iorestoacasa attuale può essere il tempo e dobbiamo reagire consumando il tempo e non permettendo al tempo di consumare noi.
In questo periodo impariamo ad imparare, dedichiamo slot giornalieri a fare cose nuove a coprire lacune proprie, se vuoi di più impara di più.
Questa chiusura forzata ci apre sfide per nuova creatività, con indice puntato sul presente con l’attitudine di fare cose non fatte prima, come applicato personalmente dal sottoscritto che vi scrive.
Costruiamoci nuove routine con all’interno momenti per imparare cose nuove e creare da quell’insegnamento un pezzo nuovo di noi, reinventarci nel piccolo, ma un piccolo che sommato per i tanti giorni di questa nuova vita ci ritroverà alla fine diversi e magari con la consapevolezza di voler fare qualcosa di diverso. La routine giornaliera è importante per impattare l’incertezza con nuove certezze.
Alla fine di questa crisi, ancora una volta, le persone saranno diverse perché avranno sposato valori diversi o perché psicologicamente provate, essendo un istinto del nostro cervello che se percepisce la crisi come una minaccia mette il corpo sulla difensiva innescando processi infiammatori per le sue parti, mente se invece la avverte come sfida aumenta il nostro coraggio, ancora una volta è questione di mindset.
Cogliere la crisi come sfida che si vince con un pensiero laterale, partendo ora in anticipo senza aspettare che gli altri lo facciano restando in coda a guardare.