
In questi giorni anomali, in cui ci poniamo tante domande sul nostro futuro, una in particolare si ripercuote quotidianamente, vista la sensazione di stanchezza alla fine di ogni giornata trascorsa all’insegna del lockdown: “Sto lavorando di più? “.
Ogni giorno in casa non è uguale agli altri, alternandoci senza sosta tra telefonate, videoconferenze, mail e lavoro legato alla analisi dei dati che riceviamo, alla redazione di documenti ed alla preparazione di presentazioni, ben più faticose che in passato.
A tutto questo aggiungiamo la gestione delle attività casalinghe ordinarie e, per non farci mancare nulla, anche le straordinarie: chi non ha approfittato in questi giorni per ridipingere i muri, smaltare la ringhiera o aggiustare quel pezzo che da mesi attendeva soccorso? Senza dimenticare le classi virtuali dei nostri figli, che a volte ci costringono a cedere il personal computer su cui stiamo lavorando, portando le nostre deadline al dopocena.
Se tutti noi ci chiediamo se stiamo lavorando di più, la risposta è senza dubbio sì! Non è una semplice sensazione, ma sono i numeri a confermarlo.
Il lavoro a distanza, nella cultura anglosassone, era già consolidato per diversi motivi, dovuti essenzialmente alla globalità storica di molte aziende con sedi distribuite in più parti del mondo e a diversi fusi orari. Qui, spesso, le video conferenze sono condite dalle lamentele di chi è più svantaggiato dalla distanza temporale con la casa madre, anche perché persiste la cultura di un limite al rapporto umano diretto, dove è perfino normale essere licenziati per telefono.
I risultati di una recente indagine condotta da One Poll per conto di Citrix Systems, in questo periodo dettato dallo smart working, confermano che in Italia solo poco più del 20% del campione intervistato ha dichiarato di aver lavorato precedentemente da casa per almeno una volta a settimana. Questo indicatore sale spostandoci a nord dell’Europa, diventando il 26% in Francia, il 42% in Germania ed il 46% nel Regno Unito, concludendo che per molti ma non per tutti lo smart working rappresenti una ‘’normalità moderna’’.
Lo stesso campione intervistato da una parte evidenzia una disomogeneità di riscontro nel confronto tra abitudini pregresse e nuovo stile di vita, dall’altra risponde invece con indici omogenei, quando si chiede agli appartenenti al cluster se hanno consapevolezza di lavorare di più. La loro risposta è affermativa per percentuali che restano tra il 70% e 80%, differentemente per i paesi di riferimento.
Il lavoro da casa aumenta il livello di challenge, ci si sente maggiormente responsabili per lo svolgimento di un lavoro a 360° di cui poi dovremo rendere conto in diretta, attivando la possibilità di presentare mentre tutti ci guardano e ci sentono. Dobbiamo acquisire doti comunicative differenti, presentando con messaggi chiari e di impatto, evitando che chi ci ascolta cominci a guardare le sue mail o le sue chat perché annoiato dalla nostra esposizione.
Ci supporterà allora la conoscenza del body language guardando i nostri interlocutori mentre parliamo, magari cliccando alternativamente sulle loro icone per vedere se sono attenti a quello che diciamo e restando pronti a cambiare registro espositivo nel momento in cui li vediamo volgere lo sguardo altrove.
Non soffriremo più il micro management che spesso i nostri capi ci impongono, raccontandoci un solo pezzetto dell’intero progetto, perché potremo essere noi stessi a gestire l’intero e non la partizione, avendo meno interscambi intermedi tra l’assegnazione del task e la consegna.
La positività dello smart working non deve però metterlo al di sopra di tutto quello che di buono abbiamo fatto condividendo lo stesso ufficio, mangiando assieme in mensa e prendendoci in giro per i corridoi o in una cena di lavoro, ma che poi aiuta di più a conoscerci personalmente.
Ragionando per metafore, ascoltare dischi è bellissimo e lo possiamo fare comodamente a casa nostra, ma vivere un concerto ci mette nel corpo e nella mente le sensazioni legate ai modelli interpretativi, rendendoci indietro l’apprendimento dei comportamenti collettivi.
Se è vero che oggi siamo circa 9 milioni a lavorare in casa, siamo concentrati nelle micro soluzioni, utili per un cambiamento cosi violento ed esogeno, ma limitanti nella conoscenza collettiva del futuro, virtù che produce competizione.
L’innovazione si ottiene stando assieme, discutendo ed instaurando un apprendimento collettivo che porti l’individuo singolo a competere con gli altri per prevalere, facendo meglio ed alzando l’asticella del risultato finale.
La creatività può nascere attraverso un’incubazione solitaria dell’idea, ma il suo perfezionamento e la sua realizzazione possono accadere solo stando assieme, lavorando in un’azienda dove nessuno si aspetta che la concretizzazione di quella idea cambierà il mondo. Tranne chi ha creduto che l’impensabile fosse possibile.