
Nelle scorse settimane avevamo affrontato il tema dello smart learning, sottolineando quanto il comparto accademico e scolastico stesse reagendo bene agli urti provocati dall’emergenza Covid-19 (https://www.infosec.news/2020/03/21/news/reti-e-sistemi/smart-learning-ecco-come-sta-andando/). C’è tuttavia chi, all’interno del mondo dell’educazione, sta soffrendo più degli altri, ovvero i bambini delle scuole primarie, per i quali il processo di apprendimento necessita di una forte interazione con i docenti.
Garantire ugualmente il conseguimento di conoscenze che saranno fondamentali per la vita degli adulti di domani diventa pertanto un imperativo categorico per gli insegnanti, chiamati ad uno sforzo ben più ampio di quello che è normalmente richiesto. L’ampia libertà che il Ministero dell’Istruzione ha concesso alle scuole nell’individuazione degli strumenti atti a mantenere la continuità didattica, se da un lato favorisce il miglior adattamento alle specificità sociali, economiche e culturali dei contesti nei quali operano le scuole, dall’altro rischia di creare una profonda sperequazione tra chi si sta dando da fare e chi invece non ritiene opportuno farlo.
Alle numerosissime scuole che si stanno adoperando per garantire ai propri piccoli studenti di essere ancora formati, se ne affiancano infatti alcune altre che per resistenze dei vertici dirigenziali o dei docenti stessi stanno rendendo questa brutta esperienza di confinamento forzato, se possibile, ancora più traumatica. Bisogna scontrarsi con una categoria lavorativa molto particolare: sottopagata, mediamente anziana, estremamente sindacalizzata, la cui importanza sociale viene spesso a torto sminuita.
Nonostante la legge 107/2015 renda obbligatoria la formazione digitale, la diffidenza nei confronti degli strumenti di tele-didattica è ancora molto forte. Non è semplice mettersi in discussione con apparati elettronici con cui non si ha nessuna familiarità, a maggior ragione se le giovanissime menti che si devono educare sono invece molto abituate a farne uso. Gli insegnanti che hanno deciso di mettere da parte timori, vanità e protagonismi sono anch’essi, insieme a medici e infermieri, i veri eroi dell’emergenza che stiamo vivendo.
Molte scuole stanno adottando piattaforme di teleconferenza studiate ad hoc come Eliademy, WeSchool e Schoology che consentono di creare classi virtuali, tenere lezioni con modalità innovative e mantenere, per quanto possibile, il contatto tra gli studenti e i loro cari maestri; d’altra parte la nota 388 del 17/03/20 del Ministero dell’Istruzione sottolinea quanto l’adesione ad uno dei tanti strumenti disponibili per la didattica online non costituisca un mero adempimento formale.
La richiesta “all’intera comunità educante, nel novero delle responsabilità professionali e, prima ancora, etiche di ciascuno, di continuare a perseguire il compito sociale e formativo del fare scuola, e del fare comunità” si sta traducendo in grande sforzo per non lasciare nessuno indietro. Le scuole si stanno attrezzando per fornire ai bambini appartenenti a classi sociali meno abbienti, per i quali il digital divide avrebbe significato la perdita di qualsiasi possibilità di restare agganciati all’ancora di salvataggio fornita da una buona istruzione, pc o tablet in comodato d’uso, permettendogli così di accedere alle lezioni online come tutti i loro compagni.
Le piattaforme che erogano i servizi di smart learning nel caso della scuola primaria si assumono un compito delicatissimo e di estrema importanza: il trattamento di dati personali di minori. È del tutto evidente che da questo punto di vista le preoccupazioni di genitori e insegnanti trovano ampia giustificazione. Ai docenti e ai bambini ad esempio è concessa la facoltà di registrare la lezione, per cui le piattaforme devono conservare files in cui sono lungamente e chiaramente visibili le facce dei bambini, la loro voce e le loro reazioni agli input forniti dai docenti. Questo aspetto è particolarmente serio, e deve essere preso in forte considerazione da parte di chi gestisce i server. Una cattiva conservazione dei dati, o peggio l’esposizione degli archivi che li conservano ad attacchi hacker, potrebbe risultare molto pericolosa.
Un’ultima considerazione che mi sembra d’obbligo fare è che le aziende che operano nell’Information Technology vivano, come ormai noto a tutti, dell’elaborazione dei dati che gli utenti riversano nei propri prodotti informatici. Il Garante della Privacy, con le indicazioni contenute nel provvedimento emanato il 26/03/2020, ha chiarito le caratteristiche che devono possedere in ambito privacy le piattaforme di cui decidano di servirsi le scuole. Ciononostante, visto che nel tempo sono nati colossi multinazionali che basano la loro attività sulla profilazione, è lecito chiedere se, alla luce dell’approssimazione con cui spesso sono tenute le infrastrutture digitali (https://www.infosec.news/2020/04/01/news/reti-e-sistemi/lallarmante-stato-dellarte-del-portale-inps/), i dati, le emozioni e gli interessi dei consumatori del domani non costituiscano un piatto gustoso nel quale le aziende non vedono l’ora di ficcarsi.