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Emergenza coronavirus. Fino a quando durerà?

La luce che si vede alla fine del tunnel può anche darsi non sia un treno

Una cosa è pressoché certa, avvicinandoci alla stagione estiva si censirà il numero più alto di “stay-cations” mai registrato nella storia del pianeta.

La stay-cation è, nello slang statunitense, l’atto di chi che per un motivo o per un altro decide di stare a casa (stay) durante un periodo in cui tipicamente sarebbe andato in vacanza (Va-cation).

In tempi di coronavirus, la parte vacanziera della definizione viene rapidamente erosa da una serie di fattori, non ultimo il fatto che la risoluzione non sarebbe dettata dalla preferenza per un relax casereccio piuttosto che un drink sulla spiaggia di South Point in Miami, ma da una globale emergenza pandemica durante la quale un’azione normalissima – come abbracciare il tuo medico per non essere stato troppo aggressivo durante l’annuale check prostatico – avrebbe la potenzialità di innescare una fatale catena di eventi.

Tale inusuale situazione ha quindi la prerogativa di poter assumere, nel lungo termine, un grado di intollerabilità superiore a quello di una mera condanna agli arresti domiciliari.

Mentre cominciano a registrarsi i primi segnali di insofferenza – e chi ha visto il video del runner di Montesilvano ridurre a colpi di spranga la macchina del vicino che lo aveva rimproverato dal balcone ad un colabrodo, sa di cosa parlo –  la domanda comincia a materializzarsi con una certa insistenza, tra l’ennesimo remake del Commissario Montalbano ed il ventisettesimo barbecue. 

Quanto durerà’?

Al digitare il quesito su Google, appaiono svariate clips e articoli, quasi tutti accompagnati dall’ormai anche troppo trito “COVID-19”, segno del fatto che la domanda, abbandonati per sempre i livelli di “normale” o “logica”, risiede ora nelle più serie categorie di “virale” o “pandemica”.

Tralasciando i post biblici dove si assicura che tutte le disgrazie sono collegate al numero 40, suggerendo una simile conclusione cronologica nel caso attuale e smettendo di “babbiare” per un attimo, un interessante articolo di Joe Pinker su The Atlantic di un paio di giorni fa riduce tutto ad una apparentemente semplice risposta; ovvero quando il 60/80% della popolazione svilupperà gli anticorpi necessari a prevenire l’ulteriore contagio.

OK, ma come si traduce questo in termini temporali? Sarà sufficiente la mia riserva di carta igienica ad affrontare tempi non previsti?

Stando a quanto suggerito dal Dr. Pinker, esistono due possibili contingenze. La scoperta di un vaccino o l’attesa che il virus faccia il suo decorso.

Entrambe le ipotesi comportano l’estensione del “social distancing” a periodi di un anno o due, ma il ritorno ad uno stile di vita meno estremo, anche se con qualche precauzione, potrebbe nel frattempo essere auspicato.

Avvicinandoci all’estate si potrà forse tornare a cenare fuori, con regolamentate e verificabili precauzioni, mentre le spiagge affollate saranno sicuramente out. Lavoro d‘ufficio e visita al bar ripristinati, ma con percorsi e posti a sedere in osservanza delle distanze di sicurezza. Discoteche, concerti live e grossi assembramenti, out.

Uno dei grandi quesiti del momento è se l’espansione della contaminazione rallenterà durante la stagione estiva.

Riusciranno aumento di radiazioni UV e alte temperature, ostili ad altri virus come quello dell’influenza, ad innescare un processo di depurazione?

A giudicare dalle diverse teorie scientifiche avanzate in merito, che contribuiscono con la loro divergenza ad indebolire la fiducia del lettore nella figura del virologo e ad alimentare il sospetto che ancora una volta la politica sia riuscita ad inquinare il processo scientifico-analitico, nulla è certo al momento.

Il ritorno alla normalità, quella pre-coroniana per intenderci, palesemente legato alla capacità degli enti preposti alla salute pubblica di produrre dati statistici verosimili su cui basare le proiezioni tanto importanti per un’impostazione coerente del processo mitigativo, non sembra troppo vicino; ma la capacità di continuare a goderci la vita nel futuro prossimo, rimane come un qualsiasi passaggio evolutivo che si rispetti, funzione della nostra capacità di adattamento.

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