ECONOMIA

Risiko amaro

Forse ci si sta ricordando che l’Italia è un potenziale porto e aeroporto amico per qualunque Paese che voglia esercitare un’influenza sull’area europea

Era dai tempi della caduta del muro di Berlino e dal collasso dell’Unione Sovietica che nessuno si ricordava più dell’Italia come Paese strategico. Chi è nato nella seconda metà del Novecento, e magari ha passato qualche periodo più o meno consistente sotto le armi, se lo ricorda bene. Allora le conversazioni che avvenivano sui giornali non erano incentrate su cosa avesse detto l’ultimo politicante più o meno improvvisato, tra una dichiarazione sgrammaticata, una felpa a caso e l’ultima puntata del Grande Fratello.

Allora l’Italia era la frontiera avanzata del mondo occidentale, il posto dove si scontravano, anche ideologicamente, gli opposti schieramenti dell’Est e dell’Ovest. Sulla linea di Gorizia si giocavano gli equilibri dell’iniziativa strategica di terra, e una lunga linea di fronte potenziale attraversava la Germania dividendola in due, per finire in mare in corrispondenza del famoso GIUK gap.

Gli eventi della fine degli anni Ottanta hanno ridisegnato la geopolitica europea, e la frontiera tra Oriente ed Occidente si è spostata in là di alcune centinaia di chilometri. Diversi Paesi dell’ex Patto di Varsavia sono entrati nella NATO, ed l’ex confine trincerato del Friuli è diventato solo una linea immaginaria che i vacanzieri passano insensibilmente tra Italia e Slovenia.

Nei decenni che si sono succeduti, non più inondata dalla marea di denaro estero che le opposte fazioni riversavano sui partiti di governo e di opposizione, l’Italia è tornata al suo ruolo di vaso di coccio tra vasi di ferro. Lo scontro politico nazionale si è abbassato di livello; la formazione degli esponenti di governo e di opposizione è gradualmente degradata; gli argomenti di discussione hanno conosciuto una spirale discendente basata su aspetti di infima lega; e la nostra percezione nel consesso internazionale si è allineata di conseguenza. E d’altra parte, dopo alcuni decenni in cui in Europa e nel mondo si sono inviate a rappresentarci persone – non tutte, per carità – brillanti per impreparazione e supremo sprezzo del ridicolo, non poteva essere altrimenti.

Non staremo qui a fare la geremiade di quanto l’Europa abbia una trazione che non è certamente italocentrica, né ad enumerare le numerose occasioni in cui i nostri vicini di casa abbiano applicato nei nostri confronti misure discutibili. In parte ce le siamo meritate, ed in parte, nonostante la presunta superiorità del saper vivere italiano, non siamo stati capaci di usare quanto altri il mantra dell’europeismo applicato sempre, tranne quando contrasta con gli interessi nazionali.

Negli ultimi giorni, tuttavia, qualcosa pare muoversi, complice il potere dell’epidemia di coronavirus nell’azzerare le certezze tradizionali e riportare sul tavolo argomenti di maggior spessore. A più riprese, siamo stati testimoni dell’arrivo in Italia di aiuti dall’estero: prima una delegazione di medici cinesi, accompagnata da aiuti materiali; poi una di sanitari cubani, piccola, ma significativa per un paese sempre alla ricerca di sponde diplomatiche; ed infine, nella giornata di ieri, una colonna di camion militari russi ha fatto bella mostra di sé sul Grande Raccordo Anulare di Roma, diretta verso la zona rossa di Bergamo.

Improvvisamente risvegliati dal letargo, alcuni commentatori si sono improvvisati esperti di geopolitica e strategia, adombrando una occupazione manu militari, e sono stati prontamente sbertucciati dalla sempre caustica penna di un collega.

Tuttavia, qualcuno deve effettivamente essersi preoccupato, ed il Segretario di Stato Mike Pompeo si è affrettato a rendere note le iniziative di aiuto che il governo statunitense sta mettendo in atto a favore dell’Italia. Insomma, in buona sostanza ci si sta forse ricordando che l’Italia per la sua posizione geografica al centro del Mediterraneo è un potenziale porto e aeroporto amico per qualunque paese che voglia esercitare un’influenza sull’area europea. E che forse determinate posizioni franco-teutoniche a livello europeo, o la brillante assenza in tema di soccorsi della NATO, dovrebbero forse lasciare il posto a considerazioni più solidali e durature. D’altra parte, gli amici veri si vedono soprattutto nel momento del bisogno, e tristi esperienze di quasi cento anni fa ci hanno insegnato che un cambio di alleanze in un momento di difficoltà sono sempre possibili, e che anzi dall’unificazione nazionale in poi l’Italia ha una consolidata tradizione in proposito.

Nel frattempo, mentre altri cercano di influenzare il nostro destino, e nell’attesa di capire chi ci darà una mano e quale schieramento si dimostrerà più solidale, continuiamo a combattere contro la pandemia, sentendoci un po’ come la Kamchatka in una sorta di Risiko amaro.

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