
No, purtroppo non è un miraggio.
Al viaggiatore virtuale che decidesse di avventurarsi sulla cosiddetta “strip“ (il Las Vegas Boulevard, cuore dell’ area turistica della città) in tempo reale via live webcam, apparirà un’immagine di Las Vegas in grado di evocare lungometraggi di fantascienza post apocalittica, tipo “1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra”, tratto dal romanzo di Richard Matheson “ I Am Legend” (Io Sono La Leggenda), ripreso poi nell’omonimo film nel 2007 che vide Will Smith protagonista.
I marciapiedi eternamente affollati della città che non dorme mai – ma che adesso ha forse deciso che un pisolino ristoratore dopotutto non è una brutta idea – completamente deserti.
“Las Vegas non ha mai visto nulla del genere”, riporta Massimo Lanzafame, Assistant Executive Chef de “Il Fornaio”, un ristorante italiano ad alto volume, incastonato tra i meandri del New York Hotel & Casino sulla strip, durante un’intervista per INFOTEC.NEWS. “Hanno licenziato tutti, è tutto chiuso”.
Gli ultimi dati sul sito ufficiale della City riportano infatti una chiusura delle attività “non essenziali” fino al 16 aprile, ma come Massimo tiene a puntualizzare, “nessuno ha idea di quanto durerà”.
Lungi dall’essere immune alla crisi pandemica in corso sul pianeta Terra, the city of Las Vegas, sul sito del ministero della Salute aggiornava in mattinata il numero di decessi e contagi relativi alla contea di Clark, che comprende non solo l’allegra metropoli, ma anche paesini e agglomerati limitrofi del calibro di Indian Springs, dove risiede la base USAF di Creech, capitale operativa e di addestramento al pilotaggio dei cosiddetti droni, tanto familiare agli appassionati di film del genere – ricordate “Good Kill”?
321 casi COVID-19 positivi, due nuovi decessi da aggiungere ai 4 precedenti, soggetti tutti con patologie preesistenti, su 5,500 tamponi.
A Las Vegas ed in un numero di metropoli americane in continuo aumento, si fa tesoro dell’esperienza Italiana ,dove l’afflusso di pazienti desiderosi di essere testati, collassò inizialmente i pronto soccorso del paese.
Centri di collezione e analisi in modalità “drive through”, dove il paziente sintomatico viene sottoposto al tampone senza dover uscire dalla macchina ed in maniera completamente gratuita, nascono con cadenza giornaliera popolando ordinatamente una pianificazione funzionale che si sforza, con risultati tutti ancora da provare, di conciliare dati esistenti e proiezioni sull’espansione del virus.
I tempi del “turnaround” per i risultati dei tests come riportati dal The Seattle Times del 24 marzo sono dai 3 ai 5 giorni, per una procedura che dura intorno ai 10-15 minuti.
Sempre del 24 di marzo, un articolo di David Ferrara per il Las Vegas Review Journal, riporta di un’azione legale collettiva da parte di 3 attività commerciali con sede in città ed una dell’Illinois, contro il governo cinese, accusandolo di aver intrattenuto “una campagna di disinformazione e bugie” per occultare la severità dell’epidemia. Secondo il trascritto, riportato dallo studio legale Eglet Adams che rappresenta le compagnie americane, “(il governo cinese) ha messo in pratica una campagna di intimidazione, arrestando medici, avvocati e giornalisti colpevoli di aver tentato di allertare il pubblico su presenza e potenziale pericolo pandemico del “nuovo” coronavirus.
Gli auspicati risultati di una simile azione legale sono alquanto dubbi, specie considerando la recente postura di vicendevole attribuito colpevolismo a mezzo overload informativo, assunta dalle due nazioni, utilizzando “armi” di medio e grosso calibro con pistolettate e colpi di scena su mainstream e social media.
Il de-facto “finger pointing” indirizzato a manovrare la pubblica percezione delle responsabilità sull’attuale pandemia, vede Cina e Stati Uniti cimentarsi in un giornaliero duello, istigando i supporters di entrambi i governi alla produzione e circolazione di quelli che sembrano -almeno al sottoscritto- migliaia di meme, articoli, video ed interviste all’ultimo sangue.
Ma la resilienza del business nel paese che rappresenta il capitalismo nel mondo, genera già ingegnosi risvolti di impegno e ripresa.
I controllori di volo della torre dell’aeroporto internazionale McCarran, sono tornati al lavoro stamane, dopo una settimana di interruzione precauzionale dovuta al risultato positivo al COVID-19 test, di uno degli impiegati.
E mentre gli enormi supermercati della marijuana, strategicamente posizionati dietro la strip, stracolmi di clienti locali – forse ostentando l’assoluta necessità di un sollievo chimico dall’emergenza in atto, che li farebbe rientrare nella categoria “essential business” – continuano a macinare milioni di dollari, il Dejà Vu Little Darling Strip Club, storico locale di “cabaret all nude” sulla Western Avenue, si ostina a rimanere aperto, distribuendo Amuchina ai clienti, offrendo entrata gratis ai residenti e dichiarando che “Little Darling obbedisce alle disposizioni di “social distancing” suggerite dal governo… rimarremo per tanto aperti e continueremo ad offrire nude dancing. Per i clienti che ritengano più opportuna un’ulteriore separazione fisica, offriremo spettacoli a partire da domani, in modalità “drive through”… Insomma “chiu’ pilu ppi tutti” versione Las Vegas.
Tutto il mondo, dopotutto, è paese.