SALUTE

Le conseguenze sociali del coronavirus

Anche i lavoratori irregolari, alle spalle dei quali ci sono famiglie in stato di necessità, hanno bisogno di un intervento immediato che prescinda dalla illegalità della loro condizione

Le cronache dell’ultimo mese si sono gradatamente riempite di notizie prima episodiche, e poi sempre più pressanti, riguardanti l’emergenza sanitaria da coronavirus. Inevitabilmente, la rapida evoluzione della situazione epidemiologica ha conquistato l’agenda politica e quella comunicazionale dei grandi media. 

Giustamente distratta dalla tragicità del contagio e dalle sue conseguenze sanitarie, impegnata nella rincorsa alla creazione di risorse e strumenti materiali e normativi per minimizzarne le conseguenze cliniche, la compagine di governo ha probabilmente e doverosamente deprioritizzato altre conseguenze, quelle economiche. 

Anche l’opinione pubblica, prima incredula, poi disturbata nel proprio quotidiano tran-tran, poi preoccupata, e infine spaventata, ha messo per una ventina di giorni in sottordine le conseguenze di medio periodo di quanto stiamo vivendo. La doverosa chiusura totale delle attività economiche non essenziali, ed il confinamento dei cittadini nelle proprie abitazioni, ha rapidamente fermato il tessuto economico, ed il motore produttivo della nazione si è fatto silenzioso a tutti i livelli. 

Ripetiamo, la chiusura è doverosa e necessaria al fine di evitare che il prezzo di questa pandemia sia non nell’ordine delle decine di migliaia di morti, come appare evidente ogni giorno di più, ma nell’ordine delle centinaia di migliaia. Tuttavia, va considerato che le fasce più deboli del nostro paese stanno attraversando un momento di crescente difficoltà, che presto potrebbe tramutarsi in disperazione. 

La chiusura interessa infatti non solo una miriade di aziende manifatturiere medie e piccole, i lavoratori delle quali non hanno l’opzione di lavorare in smart working come i loro colleghi del terziario avanzato; ma anche quella fascia ampia di popolazione che non ha normalmente un lavoro subordinato regolare, e sopravvive in condizioni precarie o facendo ricorso al lavoro nero. 

Sgombrando immediatamente il campo da qualunque equivoco in tal senso, diciamo subito che il lavoro nero è una pratica illegale, cui nessun cittadino di questo paese dovrebbe essere sottoposto. Tuttavia, un governo responsabile e che abbia un’esatta percezione della realtà, non può ignorare che questa modalità di impiego sia tristemente comune specialmente in alcune aree economicamente depresse del paese. 

I lavoratori delle imprese manifatturiere e quelli irregolari, quindi, alle spalle dei quali ci sono famiglie che hanno bisogno di essere sostenute, hanno bisogno di un intervento immediato che prescinda dalla legalità o illegalità della loro condizione, ma tenga conto unicamente dello stato di necessità. 

Come affermato in altra occasione, delle ragioni di quanto sta accadendo, delle responsabilità dei singoli, delle provvidenze da introdurre per evitare che quanto oggi sta disarticolando il nostro vivere sociale si riproponga in questa drammaticità, parleremo più in là. Oggi è necessario mettere al centro del palcoscenico nazionale e, diremmo, della nostra etica sociale, la tutela della persona. 

Esattamente come in un naufragio, chi si trova in acqua e sta per affogare non sottilizza sul fatto che per salvarlo gli si accosti una scialuppa, o gli si lanci un salvagente, o un semplice pezzo di legno. Allo stesso modo, il soccorritore dà priorità alla necessità di salvare chi si trova in pericolo e non filosofeggia sul metodo da utilizzare, né perde tempo a chiedere al soccorrendo perché si trovi in acqua. Lo diciamo dunque chiaro: intervenire in aiuto delle famiglie più deboli della nostra nazione è una priorità cui dare immediata attenzione.

Beninteso, sempre come in un naufragio, si può sempre scegliere di rimanere tranquillamente sulla propria scialuppa, illudendosi che il bordo della stessa sia un confine invalicabile per chi sta in acqua. Tuttavia, amando sinceramente il nostro Paese fin dalla più giovane età, ci sentiamo in dovere di lanciare un razzo di segnalazione a chi governa la barca, perché si tenda una mano a chi ha bisogno e si eviti di essere testimoni di scene che il nostro mestiere di storico scalzo ci ha insegnato a riconoscere per tempo e a temere profondamente.

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