
Solo alcuni giorni fa avevamo scritto, con un misto di incredulità e di umana repulsione, dell’atteggiamento assunto dal Primo Ministro inglese Boris Johnson nel dettare agli inglesi la linea di condotta governativa nell’affrontare il coronavirus. Infettarne milioni per salvarli quasi tutti, e l’economia con loro. Un misto di sicumera, cinismo e forse cattiva valutazione dell’opinione pubblica. Un mix che per qualche momento ha probabilmente fatto sentire l’inquilino del numero 10 di Downing Street il protagonista del più famoso meme di propaganda del Regno Unito: “Keep calm and carry on” (Rimanete calmi e andate avanti).
Forse sarebbe stato utile tenere a mente che il famigerato slogan, assurto ormai ad icona globale su mug da caffè, magliette e presentazioni motivazionali, ebbe una vita breve quanto infelice. Concepito originariamente dal Ministero dell’Informazione britannico nel 1939 in previsione delle spaventose conseguenze dei bombardamenti tedeschi sulla Gran Bretagna, e stampato su alcune centinaia di migliaia di copie di manifesti, in realtà non vide mai la luce fino alla sua recente riscoperta. La ragione fu probabilmente che alla prova della realtà – il Blitz della Luftwaffe colpì in maniera estremamente dura l’isola, costringendo i londinesi a mandare a nord i propri bambini – la semplicistica propaganda vittoriana di quello slogan cadde miseramente.
Più rapida e più disastrosa è stata la disfatta del primo comunicato di Johnson. Nel giro di pochi giorni, la rapida diffusione del virus in Europa, le immagini terribili che in queste ore provengono da una Spagna in ginocchio, con gli ammalati a terra nei corridoi degli ospedali, hanno radicalmente cambiato il registro di comunicazione.
Il nuovo comunicato si apre con delle parole estremamente diverse da quelle ciniche e noncuranti utilizzate alcuni giorni fa: “Il coronavirus è la più grande minaccia che questo paese ha affrontato per decenni (…) Senza un enorme sforzo nazionale per fermare la crescita di questo virus, arriverà un momento in cui nessun servizio sanitario al mondo potrà mai farcela; perché non ci saranno abbastanza ventilatori, abbastanza letti per la terapia intensiva, abbastanza medici e infermieri. E come abbiamo visto altrove, in altri Paesi che hanno anche fantastici sistemi sanitari, questo è il momento del pericolo reale. In parole povere, se troppe persone si ammalano gravemente in una sola volta, il servizio sanitario nazionale non sarà in grado di gestirlo – il che significa che probabilmente moriranno più persone, non solo a causa del Coronavirus ma anche di altre malattie”.
Le frasi di sopra riportate ci forniscono alcune interessanti informazioni. In primo luogo, si riconosce senza riserve la gravità dell’impatto della patologia sul Regno Unito. Nessun business as usual, il nemico è alle porte, anzi è già sbarcato, noncurante della recente Brexit. In secondo luogo, l’implicita ammissione che il National Health Service inglese è un’organizzazione con numerose falle strutturali, tanto da non essere in grado di reggere il confronto con l’epidemia. In terzo luogo, aspetto molto interessante, si ammette che altri Paesi con fantastici sistemi sanitari sono in grave difficoltà.
E quali sarebbero questi Paesi? Da un rapido giro d’orizzonte, appare verosimile che non si parli di quello cinese, che ha dovuto pagare con l’isolamento brutale di alcune regioni il prezzo per contenere l’epidemia. Non uno degli altri Paesi europei, dove la curva di contagiati sta salendo in questi ultimissimi giorni. Sarà forse una sorpresa per molti, ma il riferimento diretto è proprio al deprecato Sistema Sanitario Nazionale italiano. La nostra è infatti un’organizzazione – se pur con notevoli squilibri a livello nazionale, ma di questo si parlerà dopo la conclusione della pandemia – che nonostante i maltrattamenti subìti negli ultimi decenni, ancora conserva un bacino di strutture e professionisti tra i migliori in circolazione.
In un precedente articolo ci auguravamo il meglio per il popolo inglese, quindi siamo lieti che finalmente il suo Primo Ministro abbia deciso di uniformarsi all’adagio better safe than sorry – letteralmente meglio salvi che dispiaciuti – e di prendere le misure del caso.
Lasciata da parte la propaganda ingenua del periodo prebellico, forse ci sentiremmo di consigliare l’utilizzo come guida delle parole che usò un altro Primo Ministro e leader di guerra, Winston Churchill, quando la minaccia dell’invasione tedesca si fece viva e presente. Ci permettiamo di adattarle alla situazione presente, sperando che il vecchio Bulldog non se ne abbia a male:
Gli eventi che sono accaduti nelle ultime due settimane non mi sono pervenuti con alcun senso di sorpresa. In effetti, ho indicato quindici giorni fa, con la massima chiarezza possibile, che le peggiori possibilità erano aperte (…) Abbiamo davanti a noi una prova del genere più doloroso. Abbiamo davanti a noi molti, molti lunghi mesi di lotta e di sofferenza. (…) Chiedi, qual è il nostro obiettivo? Posso rispondere in una sola parola: è la vittoria, la vittoria a tutti i costi, la vittoria nonostante tutto il terrore, la vittoria, per quanto lunga e difficile possa essere la strada. (…) Ho, io stesso, piena fiducia che se tutti faranno il loro dovere, se nulla verrà trascurato, e se saranno prese le decisioni migliori – come sono prese – ci dimostreremo ancora una volta in grado di difenderci e di sopravvivere (…), se necessario per anni, se necessario da soli. (…) Andremo avanti fino alla fine. Combatteremo (…) con fiducia crescente e con forza crescente (…), ci difenderemo (…) a qualunque costo. Combatteremo sulle spiagge, combatteremo nei luoghi di (epidemia), combatteremo nei campi e nelle strade, combatteremo sulle colline, non ci arrenderemo mai.