
Il denaro contante, molto utilizzato per i pagamenti di piccola entità, è un canale passe-partout di collegamento tra ignari individui: all’edicola, in tabaccheria o al supermercato, tra guanti, mascherine e metro di distanza, la bardatura del commesso fa a pugni con la logica quando le stesse mani inguantate prendono soldi e maneggiano la confezione di biscotti che ci portiamo a casa.
In molti esercizi restano cartelli espliciti che impongono di utilizzare i contanti: “pagamenti con carta minimo 10 euro”. Del resto per ogni transazione, i gestori dei pos trattengono ai commercianti le commissioni.
Da tempo la questione è dibattuta in Italia, mentre in altri Paesi è normale il pagamento concarta anche per piccole consumazioni. Pare che istituti di credito, gestori di pos e commercianti non riescano a trovare accordi sostenibili.
Questa volta la motivazione/occasione d’oro c’era: prevenzione- trasmissione coronavirus; tra le misure messe in atto dal Governo non avrebbe sfigurato l’attenuazione preventiva della trasmissione del virus intervenendo sulle commissioni delle carte, incentivando così anche i commercianti a farle utilizzare ai consumatori. Il sistema contactless consente di non dover toccare i tasti per inserire il proprio pin. E’ vero che non c’è accordo nella comunità degli esperti circa la trasmissione del coronavirus tramite banconote, come sostiene un portavoce della BCE: “non ci sono prove della diffusione del coronavirus tramite i soldi”.
Ma è vero anche che la Fed, la banca centrale americana, ha iniziato una sorta di quarantena per le banconote provenienti dall’Asia stipando e bonificando per 10-12 giorni le banconote prima di rimetterle in circolazione. Certo: tutto questo ha poco a vedere con la fake news dei soldi come possibile vettore di trasmissione del Covid19, ma ha a che fare con una evidenza incontestabile: il denaro che passa di mano con frequenza può accogliere ogni tipo di batterio o di virus.
E’ per questo che alcuni paesi acutamente colpiti dal coronavirus più dell’Italia (Cina e Corea) hanno avviato nei giorni scorsi procedure di disinfezione di banconote in circolazione; ed è per questo che, prudentemente, anche la Banca d’Italia ha deciso di tenere da parte presso le filiali per 14 giorni le banconote e monete ritirate in grossi quantitativi da banche e società di servizi.
Non c’è bisogno di indicare chi ha usato precauzioni radicali, come la Banca centrale del Kuwait, predisponendo il ritiro e l’isolamento delle banconote in circolazione nel paese per almeno quattro settimane: constatiamo semplicemente che la nostra Associazione bancaria italiana ha inviato la clientela a non andare in banca, ma ad utilizzare il più possibile i servizi online.
Ora, la misura per indurre all’obbligo di utilizzo della moneta digitala avrebbe occupato una sola riga delle 72 pagine pubblicate in Gazzetta, modificando il limite di pagamento in contanti in vigore (che a luglio scende a 2.000 euro) secondo quanto stabilito dal Decreto Fiscale n. 124/2019.
Se è vero che la strategia del Governo è quella di rendere maggiormente conveniente l’uso di mezzi di pagamento tracciabili, e limitare il più possibile l’uso di moneta liquida, in funzione anti-evasione, perché non introdurla ora in funzione anti-coronavirus?
La ratio legis di tutte le normative che comportano il limite all’uso dei contanti per i pagamenti è di tipo “educativo-fiscale” e le opinioni in merito sono ovviamente divergenti: molti contribuenti e professionisti si schierano per l’eliminazione di qualsiasi vincolo all’uso del contanti.
Ma questa era l’occasione giusta per mettere in campo un altro tipo di ratio, precisamente di ordine “educativo-sanitario”, chiamando tutti ad un gesto di responsabilità. Il sistema bancario avrebbe potuto partecipare allo sforzo nazionale di contrasto al coronavirus non con contributi e donazioni ad hoc (encomiabili, ci mancherebbe), ma azzerando almeno fino alla conclusione della pandemia l’applicazione dei costi bancari sugli acquisti effettuati con moneta digitale.