ECONOMIA

AAA: più Stato offresi, meno mercato cercasi

Fondo di 150 milioni per il Made in Italy. Si riparte dall’Ice. E da Invitalia

Il Paese chiama, il Governo risponde. Viene istituito, in capo al Ministero degli Affari esteri e della cooperazione, il “Fondo per la promozione integrata” del Made in Italy. La dotazione, espressa in milioni, è stata ricondotta all’articolo 72 a 150, in attesa di tempi migliori (ne erano stati annunciati 600). La cabina di regia sarà agli Esteri mentre il braccio operativo quello dell’Ice. A cosa serviranno questi soldi? A realizzare una campagna straordinaria di comunicazione volta a sostenere soprattutto l’agroalimentare italiano. Poi serviranno a potenziare le attività di promozione del sistema Paese, realizzate dal Ministero degli Affari esteri e dall’Ice. E, infine, a cofinanziare (50% a fondo perduto) attività all’estero, anche grazie ad Invitalia, purché rispettino le regole Ue sugli aiuti di Stato di importanza minore. Nel caso del vino, ad esempio, entrerà in campo la clausola “de minimis” connessa agli Ocm.

La sensazione che l’epicentro della manovra di sostegno consista in una partita di giro-cassa tra Stato e suoi derivati non è infondata.

La campagna di comunicazione (indefinita quanto ai media) serve solo quando e se riparte il Paese. In questo preciso giorno abbiamo la buona notizia che qualche curva si discosta lievemente dall’andamento esponenziale che l’epidemia, soprattutto in Lombardia, ha avuto fino ad oggi. Potrebbe essere un buon segno e potrebbe accadere che, invertita la rotta, tra dieci giorni il numero dei contagi diminuisca di molto. Ma tra dieci giorni non ci sarà molto da festeggiare, stando ai criteri con cui l’OMS dichiara conclusa un’emergenza epidemica. Nel caso di Ebola, l’emergenza fu dichiarata conclusa dopo due periodi di incubazione completi, durante i quali nessun caso di nuovo contagio doveva essere registrato.  Dunque, trenta giorni nel caso di Sars-Cov-2, al termine dei quali ogni Paese dovrà mantenere una elevata sorveglianza per 90 giorni. Dopo di che si tornerà gradualmente alla normalità, riapriranno le attività produttive su tutto il territorio e le merci del Made in Italy ricominceranno a viaggiare.

La prima questione fondamentale, oggi, è sostenere la produttività e quella ricca articolazione di strumenti che nel tempo hanno assunto il ruolo di operare nei mercati esteri. Certamente, le aziende italiane che operano sui mercati esteri le conosce meglio il sistema fieristico italiano, più di quanto non le conoscano l’Ice o il Ministero degli esteri.

Le nostre imprese hanno imparato a comunicare così come la comunicazione è praticata dalle fiere internazionali italiane di riferimento.

Quello che fiere e imprese non hanno saputo o potuto fare, fino ad oggi, è creare aree tax-free nei mercati mondiali, oppure negoziare costi doganali a vendita avvenuta e non a prescindere dall’attività commerciale generata.

Un secondo punto di debolezza del sistema-Italia sui mercati esteri è l’assenza di piattaforme digitali di vendita da “sistema Paese”, entro cui operare direttamente, senza disperdere le potenzialità della rete in mille tentativi autonomi, senza massa critica e senza la possibilità di sopportare i costi di promozione che gli algoritmi della visibilità sul web impongono.

Ma difficilmente il combinato-disposto Ice&Esteri si muoverà su questa direttrice, dal momento che il testo non cita alcuna delle agenzie del Paese preposte e impegnate sul fronte dello sviluppo digitale.

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