
C’è chi in costume da bagno nuota da una stanza all’altra sdraiato su uno skateboard, chi vestito da ciclista pedala tra il soggiorno e il balcone, chi equipaggiato come un alpinista si arrampica sulla libreria del corridoio. Molti dei video condivisi in questi giorni di clausura sui gruppi di WhatsApp propongono lo stesso tema narrativo: la propria casa come microcosmo da esplorare. L’antecedente più illustre di questo topos letterario del “viaggio immobile”- e probabilmente il più antico dell’epoca moderna – lo si trova in Voyage autour de ma chambre di Xavier de Maistre.
Nel 1790, il ventiseienne de Maistre, allora luogotenente del reggimento sabaudo di fanteria “La Marina” di stanza a Chambéry, si trovò a scontare i quarantadue giorni di arresto domiciliare che gli erano stati irrogati come conseguenza di un duello con un compagno d’armi, l’ufficiale Patono de Meyran. Una reclusione tutto sommato confortevole, visto che non si svolgeva in un’angusta cella, ma in una ben arredata camera “di 36 passi all’ingiro, rasentando bene le pareti”, situata all’interno della Cittadella di Torino: “Dopo la mia poltrona, camminando verso nord, s’incontra il mio letto, che è posto in fondo alla mia camera, e forma una prospettiva la più gradevole”. La vera espiazione stava dunque nell’immobilità alla quale il giovane e irrequieto duellante si era trovato improvvisamente costretto.
Solo pochi anni prima, nel 1784, insieme all’amico Louis Brun, de Maistre aveva compiuto un’ascensione di circa duemila metri in pallone aerostatico, per emulare l’impresa dei fratelli Montgolfier. Gesta poi riportate in una Lettre pubblicata a Chambéry lo stesso anno. Ma, paradossalmente, fu proprio la sua condizione di recluso a permettergli di compiere il viaggio più straordinario con il quale si guadagnò l’immortalità letteraria.
“Quante possibilità non offre ai malati questo modo di viaggiare! Essi non dovranno più tenere le avversità dell’aria e delle stagioni. I paurosi saranno al riparo dai ladri e non incontreranno né precipizi né pantani”.
Pur imprigionato fra le mura della sua abitazione, il recluso restava libero quale essere pensante e proprio su questo contrasto tra la gravità del corpo e la leggerezza dello spirito si trovò a fondare la propria redenzione. È questa, d’altra parte, la condizione stessa dello scrittore, prigioniero volontario che di propria iniziativa rinuncia all’esterno allo scopo di promuovere la sua forza creativa.
Non è un caso che de Maistre, scontata la quarantena, non abbandonò più la pratica della scrittura. Nel 1796, in Francia compare un’edizione del Voyage, che il Journal de Paris recensisce favorevolmente. E nel 1799, a Praga, de Maistre torna sulle proprie riflessioni con una stesura di Expédition nocturne autour de ma chambre.
C’è da dire che, in pieno fervore illuministico e rivoluzionario, i tempi erano favorevoli ad indagare la doppia condizione umana di prigioniero e di essere libero. O, se si preferisce, la dicotomia tra corpo e anima. Grazie alla sua reclusione privilegiata, de Maistre mette a fuoco, un secolo prima di Freud e della psicanalisi, questa duplice natura che convive in ogni essere umano.
“Dopo diverse osservazioni, mi sono accorto che l’uomo è composto di un’anima e di una bestia. Questi due esseri sono assolutamente distinti, ma così incastrati l’uno dentro l’altro, o l’uno sopra l’altro, che bisogna che l’anima abbia una certa superiorità sulla bestia, per essere in grado di distinguerli”.
Vale dunque la pena di accogliere l’invito al viaggio immobile di de Maistre. Fosse anche solo per produrre un meme, un video virale o una frase di Osho.
“…venite anche a voi: abbandonate, credetemi, codesti pensieri neri; vi perdereste un attimo di piacere senza acquistare un attimo di saggezza: degnatevi di accompagnarmi nel mio viaggio; procederemo a piccole tappe, ridendoci, cammin facendo, dei viaggiatori che hanno visto Roma e Parigi; nessun ostacolo potrà fermarci; e, abbandonandoci gaiamente alla nostra immaginazione, la seguiremo ovunque le piacerà di condurci”.