
I Security Manager di ogni azienda sono normalmente chiamati a prevedere le situazioni di rischio ed a realizzare degli scenari evolutivi in funzione delle varie risposte che possono essere messe in campo.
L’obiettivo è quello di poter valutare, senza nessun pathos derivante dalle problematiche del momento, le soluzioni possibili ed evitare che l’accadimento di “accident”, con il carico di emozioni e tensioni derivanti dalla situazione, possa spingere ad porre in essere delle azioni di cui non sono state attentamente valutate le ripercussioni.
Questa metodologia, normalmente attuata in tutte le aziende con un certo livello di organizzazione, pare non essere a conoscenza delle nostre Istituzioni.
Come è possibile che la decisione di chiudere una regione come la Lombardia venga presa alle 2 di notte tra sabato e domenica, dando indicazioni che, dopo una iniziale chiarezza con la quale si blocca esplicitamente gli spostamenti, inserisce una mitigante e fuorviante indicazione generica: “…salvo comprovate esigenze lavorative…”.
La domanda che sorge spontanea è: comprovate da chi?
Sorvolando sul pasticcio della fuga di notizie iniziali – che ha provocato un fuggi fuggi generale di persone potenzialmente infette che hanno assaltatoo i treni verso il Sud, e la mancanza di azioni organizzative preventive per bloccare almeno i mezzi pubblici e gli ingressi delle autostrade – è possibile lasciare al buon senso dei singoli ed alla interpretazione delle aziende se far andare o no i dipendenti a lavoro il lunedì mattina? Tenendo conto che, non essendo agli inizi dell’Ottocento, molti dipendenti non abitano nelle immediate vicinanze delle aziende, e magari abitano anche a 100 km, quindi provengono anche da altre province o regioni.
Il problema, pur nella sua complessità e composita valutazione delle conseguenze, è semplice: se c’è un problema che impone l’isolamento è necessario fare alcune cose, avendo il coraggio di farlo fino in fondo, istituendo controlli e meccanismi che obblighino il rispetto delle norme; se non è così, bisogna fare dell’altro, valutando attentamente le conseguenze. Perché nel primo caso, la mancanza di controlli rende attuale il noto detto popolare che recita: “il medico pietoso fa la piaga purulenta”, mentre nel secondo caso, se non si attuano altre azioni, si crea una situazione di rischio ancora maggiore. È quanto accaduto nella prima fase dell’emergenza, che, oltre a non aver limitato i problemi per la salute pubblica, ci ha fatto apparire come gli untori del mondo, creando una serie di problemi ben oltre il campo sanitario e toccando l’economia, rischiando di mettere in ginocchio tutto il tessuto industriale ed innescando una serie di reazioni a catena con risultati non valutabili nell’immediato.
Da ultimo, se il problema c’è, come sembra effettivamente, pur avendo presente che viviamo in un paese democratico occidentale e non in un paese totalitario, non possiamo riporre la fiducia nella comprensione e nel buon senso delle persone, che purtroppo non sempre dimostrano di avere uno sviluppato senso civico, come, ad esempio, quelle persone che, vivendo nella ex zona rossa di Codogno, erano riusciti ad eludere i controlli per andare a sciare e che sono state scoperte solo a causa di un incidente sulle piste da sci, che le avevano fatte finire in ospedale.
A fronte di situazioni che gli organismi tecnici reputano ad alto rischio, è necessario avere il coraggio di andare fino in fondo con chiarezza, evitando di “nascondere la mano dopo aver lanciato il sasso”, sperando nel buon senso delle persone. In caso contrario, edulcorando la pillola, il risultato sarà solo quello di rallentare ulteriormente la soluzione del problema, spostando la responsabilità su altri.