CITTADINI & UTENTI

Coronavirus: se non i libri, almeno i film

Decenni di “vietato vietare” e la convinzione che tutto possa essere fatto ad onta della collettività, hanno trasformato la nostra nazione in un luogo dove manca la più elementare disciplina sociale

Le ultime ore di questa lunga scalata verso la diffusione nazionale dell’epidemia hanno visto accadere una serie di cose che nessuna mente raziocinante avrebbe potuto concepire.

In primo luogo, ad onta delle raccomandazioni diffuse dalle autorità sanitarie a livello mondiale e riprese da tutti i media tradizionali e digitali in Italia, ieri a Milano si è svolta una surreale invasione del centro e dei Navigli, al grido di “Non puoi costringere le persone a stare a casa”. Ovviamente quello a cui si è assistito è stata l’antitesi di qualunque misura di sicurezza raccomandante il mantenere una distanza di almeno un metro dalle persone più vicine. Possiamo serenamente aspettarci che molti siano rimasti infettati ieri, e che presto essi vadano a mettere ancora più in crisi le strutture sanitarie regionali.

In secondo luogo, la massima autorità nazionale ha fatto trapelare all’esterno la bozza di un decreto che dichiara l’intera Regione Lombardia come zona rossa, da e per la quale è impedito o fortemente limitato qualunque flusso in entrata o in uscita. Tale bozza non è stata immediatamente resa ufficiale, perché sembra che all’ultimo momento le regioni interessate abbiano richiesto delle modifiche. Con la velocità propria le media digitali dei nostri tempi, la bozza ha immediatamente raggiunto il pubblico amplissimo, generando una reazione di panico. La stazione di Milano è stata immediatamente affollata a tarda sera da frotte di studenti e di lavoratori meridionali che hanno tentato di prendere l’Intercity notte che li avrebbe riportati a casa.

Chiunque sia dotato di un minimo di raziocinio capisce bene che questo treno, che è partito in condizioni di affollamento tali da avere la gente in piedi nei corridoi, costituisce una bomba virologica. Chi lo ha preso, sebbene sano, si è esposto al contatto prolungato con centinaia di estranei a distanza ravvicinata in un ambiente chiuso. Che questo sia un ambiente ottimale per infettarsi lo capisce chiunque. È inoltre immediatamente comprensibile come questo comportamento mette immediatamente al rischio le regioni meridionali, che fino a questo momento hanno avuto un numero relativamente basso di contagiati. Non sappiamo con quanta gioia i parenti dei viaggiatori notturni abbiano potuto accogliere i protagonisti della grande fuga, e ci auguriamo che le autorità locali prendano immediate misure per l’isolamento di queste persone.

Entrambi i comportamenti di cui sopra mostrano con evidenza lampante quelle che sono le tare del nostro vivere sociale, ed in particolare l’incoscienza, l’egoismo, la mancanza di senso di responsabilità, ed il dilettantismo quando ci sia da gestire qualcosa di più serio dell’ordinaria amministrazione.

Alcuni decenni di “vietato vietare”, e la deteriore convinzione che tutto possa essere fatto ad onta del benessere collettivo, hanno trasformato la nostra nazione in un luogo dove manca la più elementare disciplina sociale e ragionevolezza collettiva. La costruzione delle strutture di autorità all’interno dello Stato moderno, comuni a tutte le democrazie planetarie, ha lo scopo di assicurare la libertà dell’individuo nell’ambito della società. L’osservanza delle regole, specie in situazioni di crisi, non è uno strumento di oppressione del singolo, ma insostituibile mezzo di sicurezza comune. I cittadini che in spregio a questi principi di base hanno posto il proprio interesse egoistico di uscire un sabato sera o di ritornare a casa al di sopra del proprio stesso interesse e della sicurezza altrui, ivi compresi i propri parenti ed amici, hanno compiuto un atto di irresponsabilità ed infantilismo.

Se questo senso di malintesa libertà, che in situazioni di crisi si trasforma in pericolosa anarchia, può comunque essere umanamente comprensibile nei cittadini comuni, la mancanza di senso pratico nella gestione di un’emergenza come quella in corso da parte di chi è responsabile della sicurezza comune non può che lasciare allibiti.

Non è infatti necessario avere compiuto studi approfonditi di Public Health o di Crisis Management per comprendere che la circolazione di una bozza di decreto come quella uscita ieri possa avere come conseguenza reazioni di panico. Basta aver visto una volta nella vita uno dei tanti film catastrofisti che in passato hanno raccontato per il nostro divertimento situazioni di epidemia planetaria come quella in corso. In quei film, inevitabilmente, i responsabili di governo prendono misure pratiche di contenimento prima di annunciarle. Il blocco delle comunicazioni e di qualunque tipo di trasporto attraverso l’uso della forza pubblica viene sempre anteposto al proclama attraverso il quale tali disposizioni vengono annunciate. Questo non perché chi gestisce l’emergenza non comprenda i sentimenti altrui o voglia opprimere gli individui, ma perché ha la responsabilità di preservare l’intera collettività anche a costo di decisioni impopolari.

L’epidemia in corso di coronavirus sta avendo notevoli effetti sanitari e probabilmente ne avrà di economici nei prossimi mesi. C’è da augurarsi che questa crisi serva a tutti noi a comprendere e ad applicare un senso di responsabilità sociale che attualmente manca; e a capire che l’azione di governo richiede preparazione umana, morale, e culturale.

La realtà non è una conferenza stampa, né un reality show.

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