
Quando non sai fare qualcosa, copia chi è più esperto di te. Lo ripete di continuo il mio allenatore, ed è più o meno quel che sta avvenendo in Italia: un nuovo modello di lotta all’evasione “copiato” ai cugini transalpini.
Facciamo un passo indietro. Sul finire del 2019, l’erario francese ha inserito nella Finanziaria una norma che permette all’agenzia delle entrate transalpina – Direction générale des Finances publiques (DGFiP) – di avvalersi di un algoritmo per raccogliere informazioni online e fungere da punto di partenza per indagare su una possibile evasione fiscale, al fine di consentire un controllo tributario e doganale più pervasivo. Così facendo, oltralpe si possono vedere cinguettii, foto e post pubblicati sulle principali piattaforme social. L’unico limite, invalicabile, è frutto del bilanciamento con la riservatezza dei dati personali: le verifiche, da effettuarsi sotto il controllo stretto dell’autorità giudiziaria in modo tale da permettere di raccogliere e conservare soltanto le informazioni strettamente necessarie alle sue finalità, devono limitarsi ai profili sociali aperti e ai contenuti resi visibili a chiunque, ossia divulgati come pubblici, mentre quelli ristretti o privati non possono essere oggetto di prova da parte dell’amministrazione pubblica, salvo un consenso espresso dell’utente che assai difficilmente verrà prestato. Allo stesso modo risulta vietato al DGFiP di consultare tutte le piattaforme di acquisti online e verificare l’elenco delle operazioni ivi effettuate dall’individuo oggetto di indagine.
In Italia qualcosa di simile era già stato pensato. Seppur non a livello legislativo, la circolare n. 16/E del 28 aprile 2016 dell’Agenzia delle Entrate consente ai funzionari del predetto ente di “cercare elementi utili, non risultanti dalle banche dati, con particolare attenzione alla consultazione delle fonti aperte, al fine di acquisire ogni utile elemento di conoscenza sul contribuente da sottoporre a controllo, e sull’attività da questi esercitata”. Non come punto di partenza delle investigazioni ma, così come per i presupposti delle intercettazioni ai sensi dell’art. 267 c.p.p., ai fini della prosecuzione delle indagini, per fungere da rafforzo integrativo.
Nel Bel Paese, salvo i pochi casi in cui l’amministrazione finanziaria e la Guardia di Finanza utilizzano i social network per individuare fenomeni di evasione fiscale, l’utilizzo preponderante dei social in campo giurisprudenziale lo troviamo nella raccolta di prove nei processi di separazione o divorzio.
Recentemente però, come detto, vi sono state delle aperture che guardano ai transalpini. Seppur ancora si tratti di semplici sperimentazioni, tra meno di un mese, ad aprile, in Alto Adige un algoritmo sviluppato sul modello di quello francese comincerà a vagliare bonifici e versamenti non segnalati nella dichiarazione dei redditi. Potenzialmente si tratta di una platea di 431mila conti correnti di persone fisiche e più di 50mila intestati a persone giuridiche.
Al momento l’Agenzia delle Entrate ed il Garante della Privacy stanno vagliando tutte le ipotesi per far sì che i controlli, mirati sui conti delle persone fisiche, siano compiuti attraverso tecniche che tutelino l’anonimato dei contribuenti. Tra queste il ricorso alla pseudonimizzazione, come disciplinata dall’articolo 4 comma 5 del GDPR, ai sensi del quale “Il trattamento dei dati personali deve avvenire in modo tale che i dati personali non possano più essere attribuiti a un interessato specifico senza l’utilizzo di informazioni aggiuntive, a condizione che tali informazioni aggiuntive siano conservate separatamente e soggette a misure tecniche e organizzative intese a garantire che tali dati personali non siano attribuiti a una persona fisica identificata o identificabile”.
Se dovesse funzionare possiamo già immaginare l’utilizzo lungo tutto lo stivale di un algoritmo che lavora in automatico e potrà diventare fonte di innesco investigativo per combattere l’evasione.