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Coronavirus: c’è del marcio in Germania?

La cronaca dell’ultimo mese ci ha abituati a seguire con una certa costanza i dati di diffusione e letalità dell’epidemia globale di COVID-19, che ha assunto con i giorni connotati di rilevanza assoluta nell’agenda delle autorità sanitarie e dell’opinione pubblica mondiale. L’analisi degli stessi ha evidenziato a tutti come l’Italia sia uno dei paesi dove il coronavirus si è diffuso con maggiore importanza, e dove ha purtroppo generato una quantità apprezzabile di decessi. Tale fatto ha causato un picco di attenzione nei confronti del nostro paese da parte dei media planetari, e questo ha sua volta causato una serie di provvedimenti di isolamento da parte di altri stati.

In quest’ambito, colpisce tuttavia il dato inerente al numero di contagiati negli altri paesi europei, specialmente quello tedesco. Al 6 Marzo 2020, risultano 577 casi, nessun decesso e 16 pazienti che hanno recuperato. Va peraltro notato che il dato delle diagnosi ha conosciuto un’impennata sospetta negli ultimi due giorni dopo le prime notizie di stampa che mettevano in dubbio la sua veridicità. Considerando che alla stessa data in Italia – paese con una demografia simile a quella tedesca – vi sono 3.858 contagiati, con 148 decessi e 414 pazienti recuperati, esso appare grossolanamente sottostimato.

Tale discrepanza assume connotati di maggiore allarme soprattutto considerando un’evidenza di recentissima pubblicazione. In uno studio pubblicato il 5 Marzo 2020 sul prestigioso New England Journal of Medicine, si identifica un paziente tedesco che già il 24 gennaio presentava sintomi del COVID-19 in seguito ad un contatto con un partner d’affari proveniente dalla Cina. Pur non presentando sintomi gravi, il paziente era stato inviato in ospedale, e qui dal tampone era emersa la positività verso il coronavirus. Nei due giorni successivi, altri tre colleghi sono stati contagiati, ed anch’essi sono risultati positivi.

Sulla base di quanto sopra, è ragionevole pensare che in realtà i casi di contagio possano essere molti di più. Appare soprattutto sospetto il dato secondo cui ai 577 casi di contagio non corrisponde alcun decesso. Applicando infatti a questo numero la percentuale media di decessi a livello mondiale (circa il 3%) dovrebbero esserci almeno 17 morti. L’assenza di decessi potrebbe essere indice di una straordinaria bravura dei medici tedeschi, una minore letalità locale del virus o una straordinaria fortuna. Pur senza nulla togliere ai sanitari tedeschi, facciamo loro credito di una capacità almeno pari a quella dei colleghi dei paesi che li circondano. E ovviamente non è razionale presupporre che il coronavirus sia maggiormente aggressivo in altri paesi. Resta la fortuna, ma anche quella è una grandezza aleatoria.

Ancora più evidente è la situazione della Turchia – ed anche della Libia – da cui non risultano dati di contagio o di morti. Dato che tutti i paesi che circondano questi due hanno casi di infezione, è verosimile che anche lì ve ne siano, ma che semplicemente le informazioni non superino il confine di stato. Le conseguenze in termini di sicurezza per eventuali viaggiatori provenienti da quei paesi sono autoevidenti.

Affrontare l’epidemia in corso con provvedimenti adeguati richiede che ciascun paese comunichi in maniera seria, puntuale e completa la propria situazione interna. Solo in questa maniera si può valutare la reale portata della minaccia, e soprattutto si possono prendere contromisure che siano adeguate ai livelli effettivi di virulenza e aggressività del patogeno. Solo a titolo di esempio, se la Cina, che è il paese che in questo momento rappresenta la maggior parte del campione statistico mondiale su cui valutiamo infettività e mortalità, fornisse delle informazioni incomplete, le conseguenze potrebbero essere esiziali. Una sottovalutazione del problema – che in questo momento assume già contorni di elevata gravità secondo la WHO – effettuata sulla base di dati incompleti, potrebbe compromettere la pianificazione della reazione e delle risorse necessarie a gestirlo.

In questo senso, se ci sono, o ci sono stati, paesi che per ragioni di opportunità politica ed economica hanno fino a questo momento taciuto le reali condizioni al proprio interno, allora essi compiono un atto irresponsabile e criminale verso la comunità più ampia nella quale sono inseriti. Se questo può essere considerato atteso in paesi in cui lo status democratico sia assente o di basso livello, non può essere compreso o giustificato per chi occupa un seggio – persino importante – nella Comunità Europea. La leadership si conquista attraverso le azioni di responsabilità verso il proprio intorno sociale in tempi difficili, e non solamente attraverso il progresso economico.

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