
La sigla FATF (e quella GAFI che ne è la versione “nostrana”) è cara agli addetti ai lavori, ma i comuni mortali non sanno che corrisponde alla Financial Action Task Force.
È l’organismo intergovernativo indipendente che sviluppa e promuove politiche finalizzate a proteggere il sistema finanziario globale contro il riciclaggio, il finanziamento del terrorismo e il finanziamento della proliferazione delle armi di distruzione di massa. È quindi l’organo che, attraverso delle raccomandazioni (veri e propri standard internazionali) si adopera per generare la volontà politica necessaria per realizzare riforme legislative nazionali in questi settori. In questo quadro monitora i progressi dei suoi membri nell’attuazione delle misure necessarie, esamina i casi di riciclaggio di denaro, le tecniche e le contromisure da adottare per il finanziamento al terrorismo identificando le vulnerabilità a livello globale, per macro aree e per singole giurisdizioni con l’obiettivo di proteggere il sistema finanziario internazionale da un uso improprio.
Data la natura globale delle risorse virtuali, è essenziale che i paesi attuino rapidamente tali requisiti, in particolare comprendendo i rischi e garantendo un’efficace prevenzione del settore. Per il tratto a venire, il FAFT effettuerà pertanto il follow up del livello di attuazione di tali misure da parte dei Paesi. Le principali preoccupazioni sono l’adozione di beni virtuali sul mercato di massa ed i trasferimenti da persona a persona, senza la necessità di un intermediario regolamentato.
L’attenzione maggiore viene comunque posta sulle cosiddette “stablecoins” globali e sui loro fornitori di servizi che dovrebbero essere sottoposti agli standard del FAFT, sia come attività virtuali e fornitori di servizi di attività virtuali, sia come attività finanziarie tradizionali.
La vigilanza rimane dunque proattiva (la prossima valutazione generale è fissata per il giugno 2020) seppure, non solo nel settore delle valute virtuali, le richiamate “lacune” sono tuttora presenti. Con una nota del 21 febbraio c.a., il FAFT ha infatti divulgato un elenco delle giurisdizioni con carenze strategiche ossia, l’Albania, le Bahamas, le Barbados, il Botswana, la Cambogia, il Ghana, l’Islanda, la Giamaica, le Mauritius, la Mongolia, il Myanmar, il Nicaragua, il Pakistan, Panama, la Siria, l’Uganda, lo Yemen e lo Zimbabwe.
Durante una delle ultime riunioni plenarie (avvenuta a Parigi lo scorso mese di ottobre), il FAFT si è concentrato sugli asset virtuali (termine che si riferisce a qualsiasi rappresentazione digitale di valore che può essere scambiata digitalmente, trasferita o utilizzata per il pagamento), che sebbene offrano molti vantaggi potenziali, laddove non abbiano un’adeguata regolamentazione, comportano conseguenti rischi per un possibile uso distorto o criminale del sistema finanziario. Si pensi solo alla tecnica criminale degli attacchi ransomware, virus informatici che rendono inaccessibili i dati dei computer infettati. Di norma i criminali, dopo aver bloccato il computer, chiedono il pagamento di un riscatto (per ora normalmente in bitcoin) per ripristinarli ed a tal fine forniscono l’indirizzo di un wallet. Ricevuta la valuta virtuale, risulta compiuta la prima fase del riciclaggio di denaro stesso, ossia il “placement”, avendo di fatto introdotto il frutto dell’illecito nel sistema finanziario. Segue una più o meno articolata fase di “layering”, ossia di stratificazione, attraverso la quale con più transazioni finanziarie successive (convertendo di norma la valuta virtuale in altre valute virtuali) viene resa difficile la ricostruzione del flusso di denaro e di fatto ‘distaccati’ i proventi illeciti dalla propria origine. Una volta ripulita, la valuta virtuale viene inviata ad un exchanger ovvero ad una banca, che la convertirà in valuta fiat ponendola a disposizione di chi ha commesso il crimine.
Per tale ragione il FAFT, dopo una prima analisi trasversale della regolamentazione di tali virtual assets, ha evidenziato che sebbene alcuni Stati abbiano iniziato a regolamentare il settore, altri ne hanno addirittura vietato del tutto l’utilizzo. Tuttavia, per il momento, la maggior parte dei paesi non ha intrapreso alcuna azione generando “lacune nel sistema normativo globale”. In tale ambito, quindi, con il sostegno del G20, il FAFT ha emanato norme globali per prevenire l’uso improprio di attività virtuali per il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. Tali regole si applicano quando le attività virtuali vengono scambiate in valuta fiat, ma anche quando vengono trasferite da un asset virtuale all’altro.
In questi Stati il problema delle valute virtuali è minimale, in quanto sono presenti maggiori carenze come il dover migliorare la vigilanza basata sul rischio, rafforzando la capacità delle autorità di regolamentazione e la consapevolezza del settore privato, il dover garantire senza indugio l’attuazione di sanzioni finanziarie mirate per il finanziamento del terrorismo, il dover parimenti garantire un’adeguata verifica e aggiornare le informazioni sulla titolarità effettiva da parte di entità obbligate, stabilendo meccanismi efficaci per monitorare le attività degli enti offshore, valutando i rischi esistenti di abuso di persone giuridiche e disposizioni volte a definire e attuare misure specifiche per prevenire l’uso improprio degli azionisti e degli amministratori designati e per garantire un accesso tempestivo a informazioni adeguate e accurate sulla titolarità effettiva.
A quanto pare le valute virtuali, pertanto, seppure richiedano sempre una costante vigilanza per possibili utilizzi fraudolenti nel settore finanziario, allo stato, non sono il “vulnus” che dà maggiori pensieri…