
La Corte di Cassazione, superando in parte quanto affermato in precedenti sentenze, ha negato che le navi della Guardia di finanza possano essere incluse tra il naviglio da guerra del Paese.
Dalla lettura delle motivazioni depositate dai giudici della cassazione in merito al caso Rackete, la marittima tedesca che nel giugno 2019 speronò una motovedetta della Guardia di Finanza, si legge che la ragazza agì in adempimento del dovere di soccorso in mare e, pertanto, il gip di Agrigento correttamente non convalidò il suo arresto ritenendo tale causa di giustificazione valida ed applicabile al caso.
Quindi l’arresto non si poteva fare, ma non solo. I giudici della suprema Corte sostengono inoltre che la motovedetta in questione non può essere definita nave da guerra, asserzione che sicuramente aprirà un dibattito nell’interpretazione del diritto internazionale e del suo recepimento nel diritto interno.
In merito la fonte primaria è costituita dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare firmata a Montego Bay nel 1982 ed entrata in vigore che nel 1994, che ha interrotto una costanza di definizione di nave da guerra riportata a partire dalla I Convenzione dell’Aja del 1907 e confermata dalle Convenzioni di Ginevra ove il requisito essenziale per configurarsi tale oltre all’equipaggio militare è il comando da parte di un Ufficiale di Marina. La Convenzione, meglio conosciuta come UNCLOS, nella sua versione in inglese prevede, infatti, che una nave da guerra deve ‘appartenere alle Forze armate, portare segni esterni che ne definiscano la nazionalità, essere posta al comando di ufficiale autorizzato dal proprio Paese’. A prescindere, pertanto, dalla Forza armata di appartenenza.
La legge con cui il nostro Parlamento ha ratificato la Convenzione (L. 699/1994) ha però ripreso la versione francese del testo e riporta che la nave da guerra tra gli altri requisiti ‘deve essere posta al comando di ufficiale di Marina’, elemento su cui i giudici italiani hanno fondato la motivazione della sentenza.
Le successive norme raccolte poi in un unico articolo del codice dell’ordinamento militare (COM, art.239), provvedimento che nel 2010 ha compendiato in unico testo tutte le leggi militari esistenti in Italia, recano il requisito del comando attribuito a ufficiale di Marina quale elemento costitutivo della definizione in argomento.
La Cassazione però, sino ad ora, con sentenze emesse prima e dopo l’entrata in vigore della Convenzione di Montego Bay aveva inequivocabilmente inquadrato il naviglio della Guardia di finanza nella flotta da guerra dello Stato.
Con sentenza n° 1579 dell’11 luglio 1988 stabiliva infatti che, a prescindere dalla definizione recata dalle norme internazionali, sono da considerare navi da guerra tutte le imbarcazioni destinate ad attività di polizia in alto mare.
Concetto ripreso dalla sentenza 31403 del 14 giugno 2006 riferita ad un caso di rifiuto di ispezione da parte di un peschereccio nei confronti di una motovedetta della Guardia di finanza, ove si affermava che ‘è indubbia la qualifica di nave da guerra della motovedetta del Corpo’ anche ai fini della tutela penale prevista dal codice della navigazione.
La sentenza ‘Rackete’ ingenererà dubbi anche tra le file della Guardia costiera e, probabilmente, bisognerà ricorrere al Tribunale Internazionale del diritto del mare, previsto dalla stessa Convenzione di Montego Bay, per giungere ad una interpretazione autentica, così sconvolta in Italia da orientamenti della Corte di Cassazione tanto difformi.