
Ogni mattina, all’alba, prendo il treno per raggiungere la mia sede di lavoro. Viaggio su una linea secondaria della regione Marche, una di quelle ancora non elettrificate: 80 km in “solo” un’ora e 37’!
In una minuscola stazione di questa linea sale ogni mattina una ragazzina sicuramente orientale: fino a metà gennaio, vederla salire mi faceva ritornare alla mente Kana Harada, la giovane studentessa giapponese che, unica viaggiatrice di una stazione molto simile, aspettava anche lei il treno per andare a scuola.
Dopo l’allarme Coronavirus, vederla ogni giorno mi permetteva di riflettere sulla gestione dell’emergenza che stavamo elaborando nella Sala Operativa Unificata della Protezione Civile regionale. Mi faceva considerare “improbabile”, quanto riportato da alcune testate giornalistiche, di effettuare controlli della temperatura corporea, oltre che negli aeroporti, anche nelle stazioni ferroviarie (e gli autobus? i taxi?).
Stamane consideravo la possibile gestione del rientro ormai prossimo dei 2500 cinesi nella città di Prato: necessità sanitarie, informazione, mediazione culturale, quarantena, scelta e validità dei Dispositivi di Protezione Individuale, canale sanitario?
Poi il messaggio di un amico mi ha fornito l’assist: “Massimo, scusa se rientro tra gli apocalittici, ma oggi ho appreso dal mio farmacista che la CLOROCHINA BAYER 30CPR RIV 250 della BAYER, principio attivo: CLOROCHINA DIFOSFATO, costo irrisorio di acquisto, da maggio dell’anno scorso è sparita dalla distribuzione. Non vorrei pensare troppo male…”.
Quelle poche parole di Enrico su WhatsApp mi fanno sobbalzare.
E vero! Il farmaco rientra nella lista dei farmaci carenti dell’AIFA, con data di inizio carenza il 19 aprile u.s. con la seguente motivazione: “cessata commercializzazione permanente”. Ho ben presente, al tempo stesso, che se devi prevenire o curare la malaria “si rilascia autorizzazione all’importazione alle strutture sanitarie per analogo autorizzato all’estero”.
Ripenso alla ragazzina orientale e al Coronavirus. Sapevo di non ricordare male, ma ho voluto ricontrollare e quasi per incanto mi si è balzata agli occhi la certezza. La clorochina è una delle terapie per il Coronavirus e manco a farlo apposta uno dei primi studi per verificare l’attività antiretrovirale sull’Hiv è stata fatta da un gruppo di ricercatori italiani!
A quel punto non ho potuto fare a meno di chiedermi perché proprio ora cessare la commercializzazione?
Cosa fare? La clorochina, se validata ulteriormente la sua attività retrovirale sul Coronavirus, avrebbe decisamente un costo minimo, una facilità di preparazione e distribuzione, ma se è stata dichiarata la “cessata commercializzazione permanente”?
A pensarci bene l’Italia è l’unica nazione in Europa che ha un’azienda di Stato, lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, che produce “medicinali orfani, medicinali cioè che, pur essendo di indubbia utilità clinico-terapeutica, non vengono sviluppati, prodotti e resi disponibili dalle aziende farmaceutiche private a causa, sostanzialmente, del loro limitato interesse commerciale”.
L’articolo 5, punto 2, del Decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219 “Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE2” recita testualmente “In caso di sospetta o confermata dispersione di agenti patogeni, tossine, agenti chimici o radiazioni nucleari potenzialmente dannosi, il Ministro della salute può autorizzare la temporanea distribuzione di un medicinale per cui non è autorizzata l’immissione in commercio, al fine di fronteggiare tempestivamente l’emergenza.”
Qualcuno penserà ad un approccio troppo semplicistico. Cristoforo Colombo e il suo uovo dimostrano che a volte la soluzione – pur bizzarra e “troppo facile” – c’è a dispetto della presunta impossibilità.