
Nel suo straordinario libro “1984”, lo scrittore inglese George Orwell esplorò in maniera immaginifica un possibile mondo futuro, in cui il controllo dello Stato, impersonato nell’iconico Grande Fratello, sull’individuo avrebbe raggiunto fin le estreme propaggini della sua vita privata. Troppo note sono le visioni del grande scrittore, e troppo comuni sono diventati i termini da lui inventati, da meritare una trattazione tutt’altro che superficiale.
Un aspetto interessante e per molti aspetti misconosciuto di questo mondo immaginario era la possibilità, esercitata dal Minver – il Ministero della Verità – non solo di controllare qualunque opera scritta, ma di poterlo fare in maniera retroattiva, cancellando o riadattando testi, foto e filmati alle opportunità politiche del momento. Così, un dirigente del Partito Unico salito in auge poteva non solo veder cancellati tutti i suoi vecchi peccati, ma addirittura veder riscritte le proprie dichiarazioni passate in modo che fossero assolutamente coerenti con l’opportunità politica del momento. In questo modo, egli poteva non solo “non aver detto mai una cosa”, ma “aver sempre detto il suo contrario”.
Nel mondo immaginato da Orwell nel 1948, molti anni prima dell’avvento dei computer, questo continuo lavoro di revisione e riadattamento veniva effettuato a mano sugli archivi cartacei e microfilmici. I vecchi testi venivano rimpiazzati, i nuovi documenti riposti negli archivi, i vecchi documenti distrutti perché non se ne potesse mai dimostrare l’esistenza.
L’opera di Orwell, da me letta proprio nel 1984, mi è ritornata in mente a seguito di un curioso episodio avvenuto negli ultimi giorni, che ha avuto una certa risonanza sui Social Media.
Nella sezione storica del sito web dell’Arma dei Carabinieri è comparsa una ricostruzione dei primi anni conseguenti all’unificazione italiana, evidentemente vista dal punto di osservazione della Benemerita – quello dell’ordine pubblico. In questo scritto, intitolato “L’alba del secolo – 1861-1900 (parte 2/4)”, si descrivevano con una certa dovizia di particolari gli interventi fatti dall’Arma, all’epoca parte del Regio Esercito, per la repressione di una serie di rivolte avvenute nelle regioni del sud Italia. Senza addentrarsi in particolari, si offriva una visione alternativa rispetto a quella comunemente comunicata, fatta di aspetti sanguinosi, e si formulavano delle critiche alla storiografia risorgimentale per come l’intera questione era stata trattata.
A firmare i testi, non un quisque de populo, ma il generale di Brigata (r) dei Carabinieri Vincenzo Pizzolet, storico militare autore di decine di volumi, articoli e pubblicazioni, già Capo Ufficio Storico del Comando Generale dell’Arma e direttore della rivista Il Carabiniere per un decennio e membro del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Storia Militare. Per usare un gergo caro al suo ente di riferimento, una “persona informata sui fatti”, insomma.
Chi volesse oggi accedere a quella pagina e leggere quel documento, tuttavia, resterebbe deluso. Dopo essere stata in linea per alcuni giorni ad aver generato un numero significativo di contatti, la pagina è stata cancellata dal sito ufficiale dell’Arma. Per quanti volessero tuttavia leggerla, ci viene in aiuto Internet Archive, che ne ha conservato una copia qui:
Senza entrare nel merito della questione storiografica, esercizio che lasciamo volentieri agli specialisti di settore, né delle ragioni della sua cancellazione, legittime fino a prova contraria, è tuttavia importante riflettere sulla facilità con cui l’informazione pubblicata sul web può essere manipolata, riscritta, cancellata, a seconda delle decisioni di chi gestisce l’infrastruttura che la accoglie.
Similmente a quanto succedeva nell’immortale opera di Orwell, ogni editore di contenuti, ormai svincolato dal vincolo della fisicità del giornale o del libro, può editare le proprie pubblicazioni in qualsiasi momento, dimostrando, sempre per citare non letteralmente Orwell, che “non solo non aveva mai sostenuto quella posizione, ma aveva sempre sostenuto esattamente il contrario”. Internet consente, in altre parole, di esercitare sull’informazione un controllo ex post che sarebbe stato inimmaginabile nell’epoca della carta stampata.
Questo tipo di fenomeno, oltre ad avere conseguenze evidenti sulla tipologia di informazione che arriva al grande pubblico, ha dei risvolti degni di attenzione sulla costruzione della Storia. La costruzione di archivi cartacei ha permesso agli storici di ricostruire in maniera minuziosa gli accadimenti del passato, attribuendo loro il giusto peso a partire da punti di vista e portati culturali differenti, approssimando così in maniera ragionevole la realtà.
Come ha di recente ricordato il notissimo storico Alessandro Barbero, nascondere fenomeni storici del passato sarebbe stato fino ad ora impossibile, proprio per la grandissima quantità di documenti fisici sviluppati intorno agli eventi. La rivoluzione digitale pone invece la seria minaccia della “fine della Storia”, dato che i documenti possono essere manipolati o cancellati con un semplice click. Un fenomeno rilevante e preoccupante, nei confronti del quale è necessario arrivare al più presto alla costruzione di archivi digitali condivisi e a prova di manipolazione, a tutela della memoria attuale e dei posteri. Spingendo più lontano l’epoca della post-verità.