CITTADINI & UTENTI

Acquisti online? Attenzione al venditore

L’ozio è il padre dei vizi. Su questo, di base, punta il mercato online: il consumatore risparmia tempo e fatica acquistando sul web articoli di abbigliamento (tanto poi c’è il reso gratuito), di elettronica e persino la normale spesa alimentare settimanale. Poco importa non poter verificare il prodotto di persona, pur di poter ricevere al proprio domicilio ciò che occorre. E la consegna è spesso rapida e gratuita.
Questo comportamento genera, naturalmente (perché il consumatore ne è, peraltro, a conoscenza), il rischio che ciò che paghiamo e ci viene recapitato non soltanto non corrisponda al richiesto, ma possa persino essere contraffatto; il che ci coinvolge, nostro malgrado, nella commissione di un reato, perché tale è la contraffazione e anche chi acquista beni contraffatti può essere ritenuto complice, laddove la prova a discarico non è sempre agevole.

Senza addentrarci nei meandri tecnici della disciplina, ciò che qui rileva è conoscere gli scenari per potersi regolare di conseguenza. Intanto, non occorre evitare le vendite online, ma servirsi senz’altro dei cosiddetti “trusted sellers”. La verifica, quando non può essere effettuata sull’articolo desiderato, può essere senz’altro indirizzata in via preventiva sul venditore, perché “il pesce si smonta dalla testa”.
Su internet, troviamo fondamentalmente le seguenti categorie di venditori: siti di e-commerce (indipendenti e con propria logistica), marketplaces (simili ai centri commerciali e ospitanti le vendite di terzi, cui forniscono i servizi di logistica) e social media (incluse le app, in quanto svolgono funzioni analoghe sia nella promozione sia nella tecnologia che consente l’acquisto dei prodotti o dei servizi).

Della prima categoria, fanno parte tutti gli shop virtuali dei negozi fisici, quindi la garanzia dell’autenticità del prodotto è fornita direttamente dal brand o dai brand relativi agli articoli; chiaramente, lo stesso shop assicura che si tratta di prodotti originali, nuovi, usati o “rigenerati”. Nei marketplace, di contro, non è l’Amazon o l’Alibaba di turno a fornire tale assicurazione, limitandosi a un servizio di “hosting” della merce del venditore, di imballaggio e spedizione, e di smistamento delle eventuali doglianze del cliente successive all’acquisto. I social media, infine, svolgono il medesimo ruolo se dotati di marketplace interno (la vendita, come qualsiasi altro contenuto, è a cura dei terzi venditori), mentre, più in generale, si limitano a ospitare delle semplici promozioni, in cui i venditori reinviano ai propri siti di e-commerce o marketplace, quando non persino a un contatto privato su WhatsApp, Telegram o sul cinese WeChat (che consentono negoziazioni protette da anonimato). C’è da dire che, proprio per dimostrare attenzione alle violazioni di proprietà intellettuale, i maggiori marketplace hanno, da qualche annetto, adottato programmi di lotta alla contraffazione con le imprese in difesa dei loro diritti di privativa che, in alcuni casi, arrivano fino ai contatti con le forze dell’ordine: ma la prima mossa di scoraggiamento del fenomeno deve, a mio avviso, provenire dal consumatore, in quanto non può esserci contraffattore se non c’è chi acquista il contraffatto. 

La scelta del prodotto, da parte del consumatore, viene effettuata, infatti, sulla base di tre elementi: immagine della merce, prezzo, altre informazioni (spedizione, provenienza, ecc.). Proprio su questo puntano i malfattori: quando il prezzo è troppo basso, diffidare; quando il sito non ha una policy chiara, diffidare; quando le immagini sono di bassa risoluzione o riproducono l’aspetto standard, non specifico, di un prodotto, diffidare. E così via, le raccomandazioni possono essere molteplici.

Considerare i danni che la contraffazione provoca (fino all’estrema patologia del finanziamento di ulteriori attività criminali su scala mondiale) non soltanto alla collettività e alle imprese, ma anche ai singoli individui (basti pensare al rischio che si corre acquistando prodotti che vengono a diretto contatto con la pelle) è il primo elemento di riflessione del consumatore attento e responsabile. Il canale di distribuzione, di cui magari parleremo in un altro contesto, è – come la qualità – l’indicatore decisivo. E il consulto legale, nel dubbio, sempre consigliato.

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