SALUTETECNOLOGIA

Qual è l’impatto dell’AI nell’interpretazione delle immagini in medicina?

Un preambolo dovuto: in quest’articolo userò il concetto di “recente” per due lavori pubblicati lo scorso Ottobre. Nella ricerca scientifica i tempi sono lunghi e le opinioni ponderate…

In un recente fascicolo di Lancet Digital Health sono comparsi un articolo e un commento molto interessanti, rispettivamente: ”A comparison of deep learning performance against health-care professionals in detecting diseases from medical imaging: a systematic review and meta-analysis” e “Human versus machine in medicine: can scientific literature answer the question?”.

Questo grandioso progetto di ricerca ha portato all’analisi di più di 20500 lavori scientifici pubblicati tra Gennaio 2012 e Giugno 2019 che trattavano la comparazione tra medici “in carne e ossa” e modelli di deep learning (un tipo particolare di intelligenza artificiale, o “AI”) nell’interpretare immagini radiologiche, come ad esempio lastre, TAC o risonanze, foto e materiale istologico (i vetrini che si guardano al microscopio).
Di questo enorme corpus, secondo i criteri stabiliti dagli autori, meno di 100 lavori meritavano di essere inclusi nella revisione critica della bibliografia disponibile sull’argomento e solo 25 nella meta-analisi dei dati. Di questi 25 articoli in meta-analisi, solo 14 hanno usato lo stesso set di dati per valutare sia i medici che l’AI.

L’analisi dei dati presentati in questi 14 pubblicazioni ha mostrato: una sensibilità combinata dell’87,0% per i modelli di deep learning vs 86,4% per i medici ed una specificità combinata del 92,5% per i modelli di deep learning vs 90,5% per i medici. Quindi le performances sono praticamente sovrapponibili.

Inoltre, gli autori hanno sottolineato come i lavori esaminati valutassero le AI al di fuori del contesto clinico in cui i medici di solito lavorano.

Abbiamo contattato uno dei massimi esperti sull’argomento per commentare questa notizia, il Prof. Carlo Nicola de Cecco, docente di radiologia e informatica medica della Emory University di Atlanta.

“…è un lavoro molto interessante, e la prima solida meta-analisi. A partire da questi dati si possono fare alcune considerazioni importanti: punto primo, le AI hanno un ruolo e avranno un ruolo sempre maggiore. Come si vede in questi studi gli algoritmi già ad oggi pareggiano e, a volte, surclassano la performance del professionista per quanto riguarda il riconoscimento e la diagnosi nel caso particolare, ad esempio classificare la gravità di un nodulo polmonare. Siamo in una fase ancora molto acerba: gli algoritmi che sono stati analizzati sono narrow, ossia sono in grado di dare risultati su problemi molto specifici e determinati. La sfida è arrivare a applicazioni broad: abbiamo bisogno di AI che sappiano leggere una lastra del torace, dove posso trovare un nodulo polmonare ma anche molte altre cose.

Inoltre è molto importante un altro discorso: l’implementazione nella pratica clinica. Come integrare gli algoritmi in modo da arrivare ad una diagnostica più raffinata? Ci servono algoritmi in grado di riconoscere tante diverse condizioni e che aiutino i medici, che spesso lavorano in contesti affollati, a dare risposte veloci e accurate.

Oltretutto molti degli studi analizzati, per stessa affermazione degli autori, presentano bias importanti e applicazioni di ricerca che non rispecchiano la pratica clinica.

Concludendo, il mondo dell’AI biomedicale sta crescendo e sta portando risultati importanti e che aprono scenari affascinanti e grandi opportunità per il futuro. C’è molto lavoro per portare questi nuovi strumenti nella pratica quotidiana reale. Sicuramente non andranno a rimpiazzare il medico, ma lo aiuteranno e coadiuveranno a dare risposte sempre più tempestive, accurate ed affidabili.

Le AI non vanno temute, ma è uno strumento che deve essere sviluppato e ci porterà ad ottenere risultati migliori di quelli che abbiamo oggi”.

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