
Quasi fatalmente per il contributo di esordio di questa nuova avventura, sento il dovere di cominciare con un articolo di scenario, che serva a tracciare la cornice concettuale di quello che sarà nei prossimi anni il tema di cui principalmente mi occuperò.
La medicina è una delle scienze pratiche che più hanno sofferto, nel proprio impianto concettuale plurisecolare, di una relativa fissità di schema. La salute – o il bisogno di autoconservazione – è sempre stato uno dei gradini più bassi della ormai vecchia piramide di Maslow, più basilare per importanza rispetto a qualunque altro bisogno. Per questo motivo, la ricerca costante ed a volte spasmodica di modi nuovi per combattere le patologie che hanno sempre funestato le nostre vite è stato uno dei temi evolutivi principali dell’umanità.
Allo stesso modo, il lento accumularsi delle conoscenze ha fatto in modo che la pratica medica fosse costantemente condotta come un processo ex post: al comparire di una patologia, o al verificarsi di un incidente, ecco comparire prima stregoni e ciarlatani, poi medici e scienziati, per offrire un rimedio alla bisogna. Questo processo non è stato mai né semplice né lineare, ed ha trovato una propria sistematizzazione solo con faticosi e costosi approcci di prova ed errore, che solo di recente hanno raggiunto un livello accettabile di scientificità.
Per cominciare ad avere un’idea della natura delle patologie soprattutto infettive, e del modo di curarle, si sono dovuti ad esempio attendere i pionieristici lavori tardo-ottocenteschi del molisano Vincenzo Tiberio, vero padre degli antibiotici in luogo del celebrato Fleming. Ed è stato solo con lo scoppio della Grande Guerra che la medicina ha conosciuto una vera sistematizzazione e la comparsa di tecniche interventistiche sempre più raffinate.
In ogni caso, lo scorrere dei secoli non ha mai modificato l’habitus mentale dei medici: diagnosi, terapia, osservazione dei risultati ed eventuale modifica della terapia, fino a guarigione o “cronicizzazione” della patologia ad uno stadio di più o meno disagevole sopportabilità da parte del paziente.
Solo la comparsa delle moderne tecniche di analisi genetica, e la loro recente fusione con l’informatica, hanno dato origine ad un’opportunità sconosciuta fino ad oggi: quella di comprendere a priori i rischi individuali per la salute; coniugarli con i dati rilevati in tempo reale da sensori sempre più piccoli ed integrati con il nostro corpo; ed usare queste due basi di dati per fornire informazioni in tempo reale sul proprio stato di salute agli individui direttamente interessati, ai familiari che li circondano, ed ai medici che li hanno in carico.
La vera forza di questo approccio data-intensive è tuttavia il crowdsourcing dei dati genetici e provenienti dai sensori di milioni di persone. Questo tipo di operazione consente di individuare dei cluster di individui aventi lo stesso profilo di rischio potenziale, e di modellizzare la probabilità che quel profilo di rischio dia, in un certo momento del tempo futuro, origine ad un certo evento acuto.
Sia i medici, pazienti ed industria hanno fortissimi benefici da questa opportunità: i primi possono riconoscere nei propri pazienti con largo anticipo la possibilità di un evento acuto o addirittura catastrofico, e per la prima volta espandere le proprie capacità di intervento clinico dal semplice evento patologico acuto o cronicizzato, alla prevenzione dello stesso. I secondi beneficiano di una conoscenza profonda di sé stessi, che gli consente, essendo consapevoli dei rischi, di attuare programmi di cambio comportamentale che a loro volta riducono la probabilità di un evento sanitario maggiore. L’ultima ha invece l’opportunità di espandere il proprio campo di azione alla prevenzione delle patologie, e di produrre non più farmaci di massa, ma entità farmacologiche personalizzate, concepite ed applicate specificamente a beneficio di un certo individuo. Tutto ciò consentirà a breve l’emersione della vera medicina preventiva e di precisione, data-driven.
in questo scenario straordinario, in cui per la prima volta l’umanità può diventare parte attiva della gestione della propria salute in un’ottica di prevenzione, monitoraggio e controllo, esiste tuttavia anche una serie di rischi connessi alla stessa digitalizzazione e condivisione dei dati inerenti alla salute del singolo. È intuitivo che sia necessario, a tutela dell’individuo, fare in modo che lo sfruttamento delle opportunità offerte dalla Digital Health siano coniugate con sistemi che garantiscano l’accesso ai dati sanitari alle sole persone interessate.
Come in qualunque rivoluzione tecnologica, lo spettro per l’uomo della strada è sempre quello del controllo orwelliano di tutti gli aspetti più profondi della nostra esistenza. Per fare in modo che ciò non avvenga e che al contempo possiamo beneficiare delle opportunità offerteci dalla tecnologia, è necessario in primo luogo che venga fatta un’informazione il più corretta possibile.
Questo è lo spirito con cui ci accingiamo a questa nuova avventura.
Bravo Nando!
Paolo G.
Grazie Paolo, che piacere sentirti!